Caso Marrazzo, il carabiniere: «Non sequestrammo la droga per paura»

27 Apr 2018 16:24 - di Redazione

Si riaccendono le “luci rosse” intorno alla vicenda che vide protagonista, suo malgrado, Piero Marrazzo. Come si ricorderà, il 3 luglio del 2009, l’allora governatore Pd del Lazio, oggi di nuovo in forza alla Rai, fu sorpreso da quattro carabinieri del nucleo Trionfale in una casa di via Gradoli a Roma, in compagnia del transessuale Jose Alexandre Vidal Silva, più conosciuto come Natalì. Ne scoppiò uno scandalo che portò alle dimissioni di Marrazzo dalla guida della Regione e all’incriminazione dei quattro militari con l’accusa di ricatto ai danni dell’ex-governatore.

Marrazzo fu scoperto in compagnia di un  transessuale

Il caso è tornato d’attualità in queste ore con la deposizione nell’aula del tribunale di uno degli investigatori “infedeli”, Carlo Tagliente. Questo il suo ricordo: «Quando entrammo nella casa di Natalì sul tavolo della cucina c’era un piatto con dentro 2-3 strisce di cocaina, una tessera e una cannuccia. In camera da letto trovammo Marrazzo in boxer e camicia e sul televisore c’erano diverse mazzette di soldi in contanti». Alla vista dei carabinieri il politico viene assalito da un attacco di panico. Che Tagliente descrive così: «Marrazzo era sconvolto. Ci ha chiesto di non procedere. Chiedeva se ci fossero i giornalisti fuori. Ci disse che aveva un ruolo, una famiglia e che se lo avessimo portato in caserma l’avremmo rovinato. Ci chiese anche di quale comando fossimo e che ci sarebbe stato riconoscente. Ci ricordò che sapevamo bene chi fosse e che lo vedevamo allo stadio con i nostri comandanti. Per paura e per comprensione decidemmo di non fare alcun verbale di denuncia. Abbiamo buttato la droga nel water davanti a lui». Seguì uno scambio di numeri telefonici (Tagliente il cellulare e Marrazzo il fisso di un ufficio) con reciproco impegno a risentirsi presto, ma non fu così. «Tre giorni dopo – ricorda il carabiniere -, contattammo quell’utenza: era una segreteria. Lasciai di nuovo il mio numero di cellulare ma non venni ricontattato».

Quattro militi dell’Arma sono accusati di ricatto

Nel frattempo, scoppia lo scandalo, i militari si liberano dell’appunto con il numero di telefono, ma non del video realizzato al momento dell’irruzione dallo stesso Tagliente con il collega Luciano Simeone, anch’egli imputato con Nicola Testini e Antonio Tamburrino. Incalzato dal pm, il militare ha spiegato che in determinate operazioni il filmato «è una prassi per la nostra tutela e anche spesso ai fini delle indagini». I quattro erano stati messi sulle tracce di Natalì da un pusher, Gianguerino Cafasso, che li informò che in quelle due palazzine di via Gradoili 96 c’era un andirivieni sospetto di viados e omosessuali e festine a base di droga. Per la cronaca Cafasso verrà trovato morto in un albergo romano il 12 settembre di quello stesso anno.

Commenti

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  • Adelio Bevagna 27 Aprile 2018

    Che occasione persa non denunciare un governatore comunista.