Stupri, il corso di “approccio sessuale” per migranti conferma il problema
Ha destato un certo sconcerto e anche alcune ironie la notizia di un corso di “approccio sessuale” per immigrati organizzato a Carpi da una cooperativa che si occupa di accoglienza, la Leone rosso. E certo la notizia dà da pensare su come e perché si sia arrivati a questo punto. Tra le molte considerazioni che si possono fare sulla vicenda, però, ve n’è una su cui vale la pena soffermarsi un po’ di più: questa cooperativa ammette che esiste un problema. «Le insegnanti, due donne italiane ma di origine africana, spiegano ai ragazzi che nella cultura occidentale la donna ha gli stessi diritti e doveri dell’uomo, che quando dice “no” va rispettata, che non va picchiata», ha spiegato uno dei responsabili della cooperativa, Marco Gheller, illustrando una iniziativa che per altro non è del tutto inedita: corsi simili furono attivati in Germania dopo la tristemente nota notte del Capodanno di Colonia.
Quelli che “lo stupro non ha nazionalità”
Di fronte ai diversi casi di violenze sessuali commesse da immigrati, spesso giovani o perfino giovanissimi, c’è sempre qualcuno che si affretta a dire che “lo stupro non ha nazionalità” e a sbandierare, quasi ci possa essere una compensazione, il fatto che gli italiani commetterebbero più stupri. Si tratta di un riflesso pavloviano che, oltre che basato su numeri mistificati (su 10 stupri 6 sono commessi da italiani e 4 da stranieri, ma gli italiani sono il 92% della popolazione e gli stranieri l’8%), è ben più sconcertante dell’iniziativa di Carpi. Soprattutto, è ben più dannoso.
La conquista di una legge di civiltà in Italia
In Italia lo stupro è diventato reato contro la persona praticamente l’altro ieri: alla metà degli anni Novanta. Si tratta di una conquista di civiltà passata attraverso un lunghissimo processo di risveglio e presa di coscienza collettiva, fatto di drammatici casi di cronaca, impegno ostinato di numerose forze sociali e culturali del Paese e risposta – benché tardiva – delle istituzioni. Non è stato un percorso a costo zero e, anzi, a tratti è stato anche socialmente lacerante (pensiamo, solo per fare un esempio, a Franca Viola e a ciò che il suo rifiuto del “matrimonio riparatore” innesco nella società siciliana prima e italiana poi). E fa specie che a negare l’esistenza di un problema specifico tra la popolazione immigrata oggi siano gli stessi ambienti che allora furono tra i motori di questo risveglio, femministe in testa.
Il corso di “approccio sessuale” ammette il problema
Non c’è dubbio che uno stupratore sia uno schifoso criminale in qualunque luogo sia nato. Ma perché ostinarsi a negare che in alcuni luoghi del mondo esiste un problema culturale che noi abbiamo affrontato e a cui abbiamo dato una risposta? È vero che gli uomini italiani continuano a stuprare, ma è anche vero che tutta la nostra società è cosciente del fatto che si tratta di un crimine e che la grandissima parte della nostra società lo ritiene un crimine abominevole. Possiamo dire lo stesso delle società da cui provengono gli immigrati? No, non lo possiamo dire. Però c’è chi si ostina non solo a sostenere che il problema non esiste, ma anche a tacciare di razzismo chi lo solleva. Allora, finché la questione migratoria non sarà affrontata in maniera complessivamente più seria, meglio i corsi di “approccio sessuale” (ai quali qui si vuole fare una apertura di credito sul fatto che siano almeno un po’ seri e non la macchietta descritta in certe cronache) dell’ipocrisia sul tema che impera in certi ambienti.
È un razzismo alla rovescia: c’è indulgenza verso gli extracomunitari musulmani e africani, mentre si introduce la censura sulla libertà d’opinione col pretesto di contrastare l’intolleranza.