Acca Larenzia, Sivori scrive al Tempo: io, infangato da anni, non ho colpe…

7 Gen 2018 11:58 - di Redazione

Edoardo Sivori era il capitano dei carabinieri che si trovava con i suoi uomini ad Acca Larenzia la sera del 7 gennaio 1978, 40 anni fa, quando venne ferito il missino Stefano Recchioni. Sivori, indicato all’epoca da alcuni testimoni come responsabile della morte della terza vittima di Acca Larenzia, venne prosciolto da ogni accusa con sentenza del 1983. Oggi, nel quarantennale dell’eccidio, ha scritto al quotidiano Il Tempo una lettera in cui racconta la sua versione dei fatti e chiede di intitolare una via della città di Roma alla memoria dei tre caduti missini di Acca Larenzia. Sivori non manca di ricordare che “contro i mendaci fraudolenti e/o superficiali, ho intentato molte querele. Tutte risolte a mio favore”.

Ovviamente – scrive Sivori –  direi doverosamente, tutti i ragazzi della sezione e poi gli altri, venuti da tutta Roma, erano ribollenti di rabbia e gli animi erano, ancor più ovviamente, esacerbati. Quindi è bastato poco meno di un gesto, un atteggiamento, a scatenare la rissa, non so ancora quanto voluta o solo sfruttata, con due morti ancora caldi. E quindi, appena arrivati i rinforzi al contingente del posto di carabinieri e polizia, come si diceva allora, qualcuno che forse non era troppo soddisfatto dei primi due omicidi, gettò benzina sul fuoco. Forse non sembrava vero poter spezzare quella presunta unione che legava le forze di Polizia alla politica che propugnava ordine e legalità, contraria alle violenze sindacal-marxiste. Dico presunta, per cognizione personale. Ho avuto l’onore di essere descritto sui social di allora, i muri delle strade di Roma, sia come “carabiniere SS”, sia come “guardia rossa”. E per chi ha fatto il mio mestiere, è la migliore consacrazione di imparzialità. Tornando a quella maledetta sera, nella confusione generale, qualcuno, presumibilmente dalle spalle dei ragazzi della destra, sparò contro i carabinieri. Alcune pallottole si conficcarono in due abitazioni, poche spanne sopra la testa di chi, me compreso, stava con le spalle a quel muro. Una di queste pallottole prese anche il povero Stefano Recchioni, che evidentemente si era forse girato perché aveva sentito proprio sparare alle sue spalle. E questo lo sentenzia, oltre ogni ragionevole dubbio, il giudice istruttore Guido Catenacci, il 21/02/1983, con sentenza di proscioglimento definitivo. Testuale: “…Ciò consente di escludere ogni possibile riferibilità, pure adombrata dai giornali, dell’azione al Capitano…È quindi verosimile, in relazione alla traiettoria seguita dai proiettili, che i colpi siano stati esplosi dalla opposta direzione, da persona purtroppo rimasta sconosciuta…“.

Così Sivori conclude la sua lettera al Tempo: “Perché non rendere giustizia, finalmente, con una Via Vittime del 7 Gennaio 1978? Un giardino, una piazza, anche piccola, ma significativa per uno Stato che abbia metabolizzato la vigliacca reazione a questi morti ammazzati e voglia riprendersi il suo ruolo“.

 

Commenti

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  • Silvio 10 Gennaio 2018

    Mi chiedo, una osservazione semplicissima…non è stata fatta l’autopsia e la perizia balistica sul proiettile che ha ucciso Recchioni in modo da stabilire senza ombra di dubbio se fosse stato sparato dalla pistola del capitano Sivori oppure no?