La Parsi: «Le baby gang? È la Sindrome Gomorra. Dove sono le famiglie?»

15 Gen 2018 16:06 - di Redazione

«Sindrome Gomorra oppure “Piccoli gomorristi crescono”». Così Maria Rita Parsi, psicoterapeuta e scrittrice, intervistata dall’Adnkronos, commenta gli ultimi fatti di cronaca che vedono protagoniste baby gang che aggrediscono coetanei senza una ragione. Come i dieci ragazzini, armati di catene, che hanno aggredito due studenti di 14 e 15 anni, a Pomigliano d’Arco, o il 15enne vittima di un branco di giovanissimi nei pressi della stazione della metropolitana di Chiaiano, periferia nord di Napoli. E ancora sabato sera a Torino una banda di giovanissimi, in una piazza del centro torinese, ritrovo della movida, ha aggredito e derubato un gruppo di amici che si erano ritrovati nei pressi delle piste da skateboard del piazzale. E ancora meno di un mese fa quattro ragazzini infierirono su un 17enne accoltellandolo. «Tra i giochi virtuali con trame piene di atti di violenza, le immagini violente che assimilano quotidianamente dai giochi o dai social, la rabbia e l’odio che assorbono in qualche modo,  i giovani, anzi giovanissimi – spiega la Parsi – mettono in atto questi atti gratuiti, senza senso e in un crescendo della cultura dell’indifferenza». Secondo la psicoterapeuta alla base del drammatico fenomeno delle baby gang c’è «un’incapacità delle famiglie di gestire tali ragazzi, e mi dispiace dirlo, c’è anche una mancanza di assistenza, di supporto da parte delle strutture territoriali: dalla scuola, ai laboratori di tutti i generi, musicali, teatrali e quant’altro dove i ragazzi possono ritrovarsi e impegnarsi in qualcosa di utile e costruttivo. Come a mio avviso mancano anche i collegamenti con le parrocchie. Insomma la società civile deve attivarsi per contenere tale disagio giovanile».

Baby gang, è la sindrome Gomorra

Sei famiglie su dieci sono in crisi, sono frantumate, disagiate, con numerosi problemi da affrontare e senza un supporto adeguato – spiega ancora la scrittrice – e i ragazzi, in particolare in gruppo, fanno esplodere la loro rabbia, e scaricano la violenza per spaventare o umiliare i più deboli di loro, per picchiare e rubare per il gusto di farsi vedere superiori. La Parsi collega poi il fenomeno al’uso di droga. «Mmolti di questi giovanissimi ragazzi fanno uso di sostanze, le statistiche parlano di assunzione di stupefacenti già a partire dai 12 e 13 anni. Sono scollegati dalla realtà, penso ai ragazzini che hanno dato fuoco al clochard “per gioco”, o hanno spappolato la milza ad un 15enne senza un motivo. C’è il mondo virtuale con il quale giocano con la violenza e l’orrore, un mondo che i giovani ripropongono in quello reale, non avendo modelli sani, con giusti valori morali a cui fare riferimento».

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