25 anni fa la mafia ammazzava Beppe Alfano, cronista e militante missino
Beppe Alfano fu ammazzato vicino casa sua, a Barcellona Pozzo di Gotto, l’8 gennaio di 25 anni fa con tre proiettili calibro 22. Fu eliminato perché dava molto fastidio. Perché da bravo cronista ficcava il naso nelle storie di mafia, di malaffare, di collusioni nella Sicilia martoriata di allora. Perché da intransigente militante missino, contro ogni mafia e contro ogni cupola aveva sempre lottato e manifestato, fin dalla più giovane età. Perché aveva sempre coltivato il gusto della sfida e dello sberleffo irriverente verso ogni potentato, verso quel potere opprimente che spadroneggiava anche nella sua provincia. Beppe era questo e tanto altro ancora. Ma da quel giorno è diventato anche un simbolo. Un nostro simbolo certo, ma buono anche per tutti coloro che da ogni dove combattono davvero il malaffare e il crimine organizzato. Simbolo di riscatto e orgoglio di una intera comunità umana e politica e di una terra che non vuol piegarsi. Ed è perciò motivo di dolore ulteriore vedere che l’anniversario di quest’anno sarà lasciato al privato della famiglia e condensato in una messa di suffragio e nella deposizione di una corona di fiori. Poco, troppo poco per onorare Beppe. Nello Musumeci è stato uno di quelli che se ne è ricordato: «25 anni fa la mafia uccideva il giornalista Beppe Alfano, al quale mi legava una sincera amicizia e una comune militanza politica. Egli fa parte di quella schiera, purtroppo lunga, di giornalisti siciliani uccisi solo perché facevano il loro lavoro: informare senza veli e senza piegarsi a pressioni e condizionamenti», ha detto il presidente della Regione siciliana, ricordando anche l’amicizia politica che l’ha legato a Beppe. «Nelle sue cronache sulle tv locali e sul quotidiano del quale era corrispondente, Alfano era una “penna scomoda” e nell’ultimo periodo si era occupato della latitanza, nell’hinterland barcellonese, del boss Nitto Santapaola e di traffici di armi e droga». Ecco perché, ha concluso il governatore, «la giornata di oggi è importante per sensibilizzare l’opinione pubblica ed evitare che Beppe sia considerato un morto di serie B, ucciso dal piombo e seppellito dalla memoria. La libertà di stampa va difesa, ogni giorno, da tutti i cittadini che hanno il diritto di avere un’informazione libera e democratica». Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato il cronista barcellonese: «…Il suo straordinario esempio, come quello di tutte le altre vittime della violenza mafiosa, rafforza i principi fondanti della democrazia, nel comune impegno di soggetti istituzionali, cittadini e forze politiche e sociali contro ogni forma di barbarie e a garanzia della pacifica convivenza», ha scritto nel suo messaggio il capo dello Stato. Esempio che soprattutto noi dobbiamo difendere dal rischio dell’oblio. Perché Beppe era uno di noi.
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