Scieri, nuova pista, non fu suicidio: il parà aggredito prima di volare giù

6 Dic 2017 16:19 - di Martino Della Costa

”Gli elementi da noi riscontrati consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele Scieri scalando la torretta, tesi che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggerirono alla magistratura”. Una tesi netta, chiara e messa nero su bianco dalla Commissione parlamentare di inchiesta nominata sulla morte del parà Emanule Scieri, e chiamata a fare luce su 18 ani di misteri, depistaggi, silenzi e complicità. Come drammaticamente noto, il corpo senza vita del parà siciliano venne rinvenuto il 16 agosto del 1999, ai piedi della torretta dell’asciugatoio dei paracadute della caserma Gamerra della Folgore. E la ricerca delle verità, da quel terribile giorno, è ancora in corso.

Caso Scieri, il parà fu aggredito: non fu suicidio

La Commissione dell’organismo parlamentare ha presentato una relazione in aperta contraddizione con la tesi del suicidio fin qui sostenuta, e presentando la relazione finale, votata oggi all’unanimità, ha sottolineato come “la consulenza cinematica di tecnici specializzati ha accertato che la presenza di una delle scarpe dello Scieri ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con una caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri é stato aggredito prima di salire sulla scaletta”. Un lavoro meticoloso e approfondito, quello della Commissione d’inchiesta parlamentare, che torna a sollevare quel velo di omertà e di silenzi, di depistaggi e verità di comodo, che per 18 anni ha coperto responsabilità e complicità del caso. E ci sono volute seimila pagine di documenti e 45 audizioni – che hanno portato la Procura di Pisa a riaprire le indagini sul caso – per avvicinarsi quantomeno a un certezza: quelli alle nostre spalle sono 18 anni di misteri oggi confutati da nuovi elementi che, intanto,come recita la relazione della Commissione parlamentare, hanno acclarato una verità: “alla Gamerra avvenivano gravi atti di violenza, non riconducibili a semplice goliardia”.

Emanuele Scieri, 18 anni di misteri intorno alla sua morte

E tristemente nota, ma incerta solo nel finale, la storia della breve vita di Emanuele Scieri, 26enne siciliano, che nell’estate del 1999, dopo la laurea in giurisprudenza, partì da Siracusa alla volta di Pisa, per svolgere il servizio di leva. La sua destinazione, dopo il Car a Scandicci, dove arrivò piede il 21 luglio, fu la caserma Gamerra dei paracadutisti della Folgore, dove le sue tracce si persero, come noto, la sera del 13 agosto. Al contrappello delle 23.45 Scieri, infatti, non si presentò. Assente anche il 14 e per Ferragosto, senza che nessuno sembri preoccuparsi della cosa. Il 16 agosto il corpo del giovane siciliano venne ritrovato poi, senza vita, ai piedi della torretta dell’asciugatoio dei paracadute della Gamerra. Un volo di 12 metri che, secondo le prime ricostruzioni, non uccise subito Scieri, morto dopo una lunga agonia, forse iniziata tre giorni prima, proprio nella notte del 13 agosto. Il cadavere fu ritrovato “nascosto”, lontano dal posto di caduta: con le stringhe delle scarpe slacciate e la colonna vertebrale spezzata. Sul corpo, nelle mani, abrasioni come se fosse stato calpestato. Una morte inquietante, che fece subito pensare ad un atto di nonnismo, o almeno, a qualcuno che avesse visto e sapesse, deciso però a non parlare. Mai. Ma i genitori del giovane parà, avvertiti della tragica fine dei figlio mentre erano in vacanza a Noto, non accettarono mai l’ipotesi del suicidio del figlio, e si misero instancabilmente alla ricerca di una verità che, di fatto, non è mai arrivata confermando la triste idea di una “giustizia all’italiana” fatta di “delitti senza colpevoli”, di “casi irrisolti”, di “archiviazioni invece di verità”, di “fantasmi al posto di imputati” e di “generiche ipotesi invece di accertamenti”. Oggi il nuovo capitolo dell’inchiesta muove finalmente un passo verso la verità. O almeno, una sua parte.

Il lavoro della Commissione inviato alla Procura

E allora, “la commissione – fanno sapere gli addetti ai lavori – ha fatto emergere le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo ed ha rintracciato elementi di responsabilità depositandoli presso la Procura della Repubblica di Pisa. Il quadro delle dinamiche all’interno della caserma all’epoca della morte di Emanuele Scieri ha messo in evidenza una altissima, sorprendente tolleranza verso comportamenti di nonnismo, nettamente in contrasto con i regolamenti militari vigenti, il carattere diffuso e noto di comportamenti trasgressivi e l’esistenza di una sorta di disciplina parallela”… E ancora: dal lavoro parlamentare sono stati riscontrati “errori grossolani e responsabilità evidenti riguardano il contrappello della sera del 13 agosto 1999 quando i militari addetti, pur avendo saputo da alcuni commilitoni dello scaglione di Scieri che Emanuele quella sera era rientrato in caserma, non annotarono le informazioni ricevute nel rapportino della sera e liquidarono l’assenza di Scieri consegnando all’ufficiale di picchetto il rapporto con la dicitura “mancato rientro” anziché “non presente al contrappello”. Per non parlare delle “operazioni di rilevamento che presero avvio in assenza del pm e senza la presenza dei Ris” e, come sottolinea sempre la relazione della commissione, del fatto che “il cadavere di Scieri fu manipolato per estrarre dal marsupio il telefono cellulare del ragazzo e risalire al suo numero di telefono”. Oggi, allora, dopo tanto e tale scempio contro la verità e la giustizia, il lavoro effettuato dalla commissione d’inchiesta parlamentare è stato inviato alla Procura della Repubblica, nella speranza di poter restituire, anche se tardivamente, verità e giustizia alla memoria del povero Emanuele e alla sua famiglia.

 

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