Incubo Italia: “Crescita vicina allo zero”: il rapporto della Cgia di Mestre
Sentirselo ricordare è sempre un dramma, anche se, purtroppo, solo i gonzi potevano credere il contrario. Dall’inizio del 2000 fino al 2017 la ricchezza nel nostro Paese è cresciuta a un livello vicino allo zero, ovvero mediamente di appena lo 0,15 per cento ogni anno. Sapevamo che la faccia allegra di Renzi prima, e di Gentiloni poi quando snocciolano gli zero virgola nascondono il vuoto. La verità è più drammatica di quanto pensiamo. Non cresciamo più e da tanto. Il che vuol dire non produrre lavoro, non produrre idee innovative, non sapere dare una prospettiva a questo Paese. E’ quanto emerge da una ricostruzione statistica realizzata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre che mostra peraltro come rispetto al 2007, anno pre-crisi, il nostro paese debba ancora recuperare 5,4 punti percentuali di Pil. Tra le componenti che compongono quest’ultimo indicatore economico, osserva la Cgia, nel 2017 la spesa della Pubblica amministrazione presenta una dimensione inferiore a quella di 10 anni fa di 1,7 punti percentuali, la spesa delle famiglie di 2,8 punti e gli investimenti addirittura di 24,3 punti percentuali in meno.
Il dato conferma la distanza rispetto alla crescita registrata dai nostri principali partner economici dell’area dell’euro. Infatti se in Italia negli ultimi 17 anni il Pil (calcolato su valori reali) è aumentato di soli 2,6 punti percentuali , in Francia l’incremento è stato del 21,7 per cento, in Germania del 23,7 per cento e in Spagna addirittura del 31,3 per cento. Confronti impietosi. L’Area dell’euro (senza Italia), invece, ha riportato una variazione positiva del 25,9 per cento. Tra i 19 paesi che hanno adottato la moneta unica solo il Portogallo (-1,2 punti percentuali), l’Italia (-5,4) e la Grecia (-25,2) devono ancora recuperare, in termini di Pil, la situazione ante crisi.
Ma se la crescita è mancata – osserva la Cgia – in questo arco temporale “il rigore non è mai venuto meno”. Non ci facciamo molto. Vanno fatte delle distinzioni nelle politiche economiche succedutesi in questi anni. Va da sé che la crisi del 2008, gestita fino al 2011 dall’esecutivo Berlusconi ha assolto all’unico imperativo possibile in quella congiuntura: tenere a posto i conti. I guai sono venuti successivamente, quando al rigore non si è affiancata una idea credibile per investire sulla crescita. Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, sono tutti governi responsabili di mancanza di coraggio, di avere battuto i pugni troppo tardi e senza convinzione in Europa: sì a mancette no a riforme strutturali. Politiche errate. Lo pagheremo chissà per quanto. Dopo il rigore montiano, le politiche di austerity hanno sortito più austerity, lasciando solo briciole e promesse ai “banditori” del “ci stiamo riprendendo”: per il governo che verrà saranno guai. E’ delittuoso continuare a parlare di un Paese che non c’è.
Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo conferma “una fase di stagnazione secolare” ma “sebbene la ripresa si stia consolidando in tutta Europa, gli effetti positivi non stanno interessando tutte le aree territoriali e le classi sociali del nostro Paese. Il popolo delle partite Iva, ad esempio, continua ad arrancare; schiacciato come è da un carico fiscale eccessivo, da una burocrazia oppressiva e da una domanda interna che stenta a decollare”. Questi erano i problemi da mettere in agenda, non fare le barricate sullo Ius soli. Inoltre, aggiunge, il tema degli investimenti rimane centrale per delineare qualsiasi politica di sviluppo economico. Ma se, spiega Zabeo, “il crollo avvenuto in questi ultimi anni è stato dovuto anche ai vincoli sull’indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles” questi li “possiamo superare se, come prevede il Fiscal Compact, introduciamo degli aggiustamenti come la golden rule. Ovvero, la possibilità che gli investimenti pubblici in conto capitale siano scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri”. Auguri.