Parla il padre della 14enne stuprata dai rom: «Conto sulla giustizia o ci penso io»

5 Nov 2017 13:40 - di Redazione

«Forse, ora che li hanno presi, svegliandomi al mattino potrò tornare a sorridere». Ai microfoni del Messaggero parla il padre di una delle ragazzine romane, entrambe 14enni, stuprate dai rom al Collatino. «Conto nella giustizia e spero che quei due siano puniti per quello che hanno fatto a mia figlia e alla sua amica. E se così non fosse, fuori ad aspettarli, stavolta, ci sarò io». Mario Seferovic e Maikon Halilovic sono avvisati. I due nomadi, nati a Roma da famiglie di origini bosniache e domiciliati nel campo nomadi di via Salone, dovranno rispondere di violenza sessuale di gruppo continuata e sequestro di persona continuato in concorso.

14enni stuprate, la “ferocia” dei rom

Come riporta il Giornale, lunedì mattina Mario Seferovic e Maikon Halilovic saranno interrogati nel carcere di Regina Coeli dal gip Costantino De Robbio, alla presenza del pm Antonio Calaresu. «Le modalità con cui le violenze sono state ideate e portate a termine – si legge in un passaggio delle cinque pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Costantino De Robbio – sono sintomatiche di estrema freddezza e determinazione unite a un’assoluta mancanza di scrupoli e a non comune ferocia verso le vittime degli abusi, ciò che induce a ritenere che possa trattarsi di casi non isolati ma destinati a ripetersi in coerenza con una personalità incline alla sopraffazione e al brutale soddisfacimento di istinti di violenza, sicuramente valutabili come indice di sussistenza del pericolo di reiterazione del delitto». Dalle indagini dei carabinieri è emerso che solo Mario Seferovic ha abusato delle due ragazzine. Le ha stuprate brutalmente dopo averle minacciate di morte e averle legate in una zona boschiva della Collatina. Maikon Bilomante Halilovic, intanto, faceva da palo.

Il racconto del padre

«È difficile prosegue – confida al Messaggero il padre di una delle 14enni – riuscire a superare tutto questo, ciò che è accaduto a mia figlia, alla sua amica e alle nostre vite». Un incubo scatenato dall’ingenuità delle ragazzine. Una delle due aveva già visto Mario Seferovic in più di un’occasione, sempre sull’autobus che attraversa via Prenestina. Secondo il padre, i nomadi avevano adocchiato la figlia sull’autobus e, per diverso tempo, hanno fatto in modo di incrociarla spesso. Finché non le ha chiesto l’amicizia su Facebook non confessando la vera età, ma facendole credere che fossero più o meno coetanei. «Mi diceva di avere 16 anni…», ha rivelato la ragazzina. Anche sul nome ha barato. Sul web si è presentato come “Alessio il Sinto”. Il racconto di quel maledetto 10 maggio è drammatico e violento. «È stato terribile ascoltarla – racconta il padre al Messaggero – ci è voluto un po’ prima che riuscisse a raccontare; hanno influito le minacce che (Mario Seferovic, ndr) le ha fatto, ma anche la paura, il senso di vergogna per quello che le era capitato. Sì, si vergognava, indifesa. Ora stiamo cercando di andare avanti. Meno male che li hanno presi mi auguro che la giustizia faccia il resto… se così non fosse ci sarò io ad aspettarli quando usciranno di prigione. Devono pagare per quello che hanno fatto, non possono farla franca».

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