Ostia, Spada al giudice: provocato dal cronista. Ma il gip lo lascia in carcere
Resta in cella Roberto Spada il proprietario della palestra Femus di Ostia, che, incalzato dal giornalista della trasmissione Rai Nemo, Daniele Piervincenzi lo aveva colpito con una testata in faccia fratturandogli il naso e, per questo, accusato di lesioni e violenza privata aggravate dal metodo mafioso e dai futili motivi era stato fermato e portato nel carcere di Regina Coeli giovedì dai carabinieri.
Il giudice del Tribunale di Roma, Anna Maria Fattori, ha riconosciuto l’aggravante mafiosa contestata dai pm della Procura di Roma e ha firmato il provvedimento di custodia cautelare in carcere senza però confermare il fermo di Roberto Spada ritenendo insussitente il pericolo di fuga.
Nell’interrogatorio al quale è stato sottoposto davanti al gip Fattori e che si è svolto questa mattina nel carcere di Regina Coeli, Spada, alla presenza del suo legale Roberto Spada ha risposto alle domande del magistrato ammettendo i fatti e ha sostenuto di essere stato provocato dal giornalista che lo ha pressato con una serie di domande e anche con l’affermazione che lui aveva letto i giornali, nonostante il diniego di Spada, e che quindi sarebbe stato a conoscenza del fatto che veniva accostato al movimento Casapound.
«Non mi riconosco in quel video. So di aver fatto una fesseria a comportarmi in quel modo – aveva detto Spada al gip nel corso dell’interrogatorio – Quando il giornalista è entrato in palestra mi sono innervosito».
Nel corso del colloquio tra i due, sulla soglia della palestra di pugilato, considerata da molti abitanti di Nuova Ostia come l’unico punto di riferimento, per anni, delle politiche sociali per tenere i ragazzi lontano dalla strada, Piervincenzi, mentre il suo operatore, il film maker Edoardo Anselmi riprendeva, ha più volte incalzato Spada che negava alcune circostanze e sosteneva di non avere interesse a continuare il dialogo. Poi ha fatto come per entrare in palestra. E Roberto Spada lo ha colpito con una testata al volto.
Inizialmente il giudice si era riservato la decisione. Ed aveva 48 ore di tempo per sciogliere la riserva cosa che ha, poi fatto, alcune ore dopo.
Alla fine dell’interrogatorio, durato 2 ore, i pm della Dda, Giovanni Musarò e Ilaria Calò avevano lasciato Regina Coeli, senza rilasciare dichiarazioni.
Per rinforzare la propria tesi dell’aggravante del metodo mafioso, la Procura di Roma aveva scritto al gip sostenendo che «l’aggravante del metodo mafioso è consistita nell’ostentare in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione propria delle organizzazioni mafiose».
Nella prospettazione dei magistrati dell’accusa avrebbe assunto particolare rilievo, dal punto di vista del “controllo mafioso del territorio”, il fatto che «inseguendo Daniele Piervicenzi e colpendolo ripetutamente con un manganello (Roberto Spada, ndr) proferiva in modo minaccioso la frase “sono due ore che stai qua”» oltre al fatto che sempre «Spada e altro soggetto, non meglio identificato, proferiva, all’indirizzo del giornalista e di Edoardo Anselmi, frasi del tipo “avete rotto il c…, non vi fate più vedere qui. Vi prendo la macchina e vedi che non la trovi più”».
Tutto questo, secondo i pm, soprattutto quel continuo riferimento al territorio (“sono due ore che stai qua”, “non vi fate più vedere qui”), fa immaginare una sorta di controllo, mafioso, del territorio. Una tesi che, inizialmente, non sembrava convincere il gip che, infatti, si era riservato di decidere sul fermo. Poi la decisione di lasciare Spada in carcere ma non convalidare il fermo per pericolo di fuga. Cosa che i pm avevano chiesto poiché per 2 ore Spada, dopo l’aggressione, era irreperibile.
Un altro aspetto, strettamente correlato, è la presenza di più persone che durante il colloquio fra Roberto Spada e Daniele Piervincenzi, erano presenti in strada. Per i magistrati della Procura di Roma che, infatti, hanno chiesto ai carabinieri di identificare queste persone, l’ulteriore aggravante è, proprio, la partecipazione al «fatto di più persone riunite» e «l’uso di una arma quale il manganello, compiendo l’azione in un luogo pubblico », «ripreso da una telecamera» e «rivendicando il diritto di decidere chi poteva stazionare nella zona teatro dei fatti, notoriamente frequentata da diversi soggetti appartenenti alla famiglia Spada».
Interrogato dal gip Spada ha detto che non era in grado di stabilire chi fosse.
Per convincere il giudice a convalidare il fermo, i pm hanno anche tirato fuori i verbali di due pentiti che parlerebbero di Roberto Spada e i cui racconti devono ancora essere riscontrati.
Uno dei pentiti dice: «nel 2010», cioè sette anni fa, «ho incontrato in un bar di Ostia Roberto (Robertino) Spada, il quale mi disse che aveva rilevato uno stabilimento balneare comprensivo di bar, ristorante e palestra (…) Sempre da Robertino, nel 2012, ho saputo che aveva aperto un autosalone dalle parti dell’aeroporto di Fiumicino. Sono al corrente che i Fasciani e gli Spada attualmente hanno intenzione di “prendere” un’attività commerciale all’interno del Porto di Ostia». C’è da chiedersi, a questo punto, se la magistratura abbia verificato fino a in fondo i racconti fatti dal pentito e che si rifesriscono a 7 anni fa e cosa abbia effettivamente trovato. Perché fino a due giorni fa, prima della testata al giornalista Piervincenzi, per la magistratura Roberto Spada era un cittadino incensurato.