Trasfusioni di sangue infetto, emessa una storica sentenza sui risarcimenti
Una sentenza introduce novità sul calcolo degli interessi sui risarcimenti per trasfusioni infette. Circa 520mila euro fra capitale ed interessi, si legge sul Messaggero, sono stati liquidati dal tribunale di Roma in favore delle sorelle ed eredi di una donna deceduta nel 2014, all’età di 59 anni, e alla quale quando era giovanissima, vennero trasfuse diverse sacche di sangue al “Santa Maria Goretti” di Latina. La sentenza è chiara: sono state le trasfusioni somministrate nell’ospedale pontino fra il 1979 e il 1981 ad infettare l’allora giovane donna del virus dell’epatite C.
Trasfusioni infette, la sentenza del tribunale di Roma
Quando aveva iniziato la terapia ematica, per un’insufficienza renale, la donna aveva solo 22 anni e quando l’ha terminata ne aveva 26, ma solo nel 2009 aveva scoperto di essere affetta da una grave forma di epatite C. Il virus, infatti, è considerato “silente” e può restare innocuo anche per trenta anni. L’avvocato Renato Mattarelli, riporta ancora il Messaggero, che ha assistito la donna quando era in vita, aveva intrapreso una prima azione che aveva fatto ottenere un assegno mensile di circa 800 euro. Poi nel 2013 il legale aveva intrapreso la causa terminata con il maxi risarcimento di cui però la donna morta nel 2014 non potrà godere.
Condannato il ministero della Salute
«Ben oltre l’aspetto economico la sentenza il tribunale romano ha condannato il ministero della Salute per non aver controllato e vigilato – come invece previsto dalla legge dell’epoca – sulla qualità delle diverse sacche di sangue trasfuse alla ragazza di Latina che successivamente si ammalò di altre diverse patologie – dice l’avvocato – ora verificheremo se queste successive malattie siano connesse o comunque siano state aggravate dall’epatite C».
Il calcolo degli interessi
Soprattutto sarà verificato se il decesso della donna del 2014 sia stato causato o concausato dall’epatite o quantomeno sia stato accelerato o anticipato dall’infezione che, per la sentenza del Tribunale di Roma, poteva essere evitata: «Nel caso – conclude Mattarelli – sarà intrapresa una ulteriore causa per far ottenere alle eredi un ulteriore risarcimento per i danni da omicidio colposo». Il legale si sofferma, si legge ancora sul Messaggero, sull’innovazione dal punto di vista giuridico della sentenza che «accogliendo la nostra tesi dispone che l’importo degli interessi legali deve essere calcolato dal tempo delle trasfusioni e non da quello che la prassi giudiziaria italiana fissa nella manifestazione del danno che nel caso della donna di Latina è il 2010».