Ricordiamo Anna Frank, ma anche i bimbi che Stalin fece morire di fame

29 Ott 2017 10:56 - di Vincenzo Fratta

Non far cadere nel dimenticatoio gli orrori del Novecento: è questa la lezione che si ricava dalla vicenda degli adesivi in curva sud dove Anna Frank, la ragazza 15enne morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen e diventata il simbolo della Shoah, appare con la maglietta della Roma. Da più parti è stato sottolineato che contro queste forme di antisemitismo frutto di ignoranza e superficialità è bene intervenire con l’impegno culturale più che con la repressione giudiziaria.

Sui campi di gioco, in televisione e sulla stampa si è ricordato, citato e letto il famoso Diario di Anna Frank, adottato come testo integrativo in molte scuole italiane. Accanto a questo titolo, per far capire come l’annullamento della dignità della persona sia stato il fine ultimo dei totalitarismi del XX secolo, ne andrebbe aggiunto un altro, praticamente sconosciuto al pubblico italiano.

Si tratta de Il principe giallo del poeta e scrittore ucraino Vasyl’ Barca, un opera che racconta la tragica pagina dell’Holodomor, lo sterminio per fame dei contadini dei territori della Russia sovietica attuato nel 1932-33, al quale l’autore allora poco più che ventenne riuscì a sopravvivere.

Il secolo XX non ha infatti conosciuto solo l’orrore della Shoa. Oltre al genocidio in nome dell’odio razziale c’è stato purtroppo anche un genocidio in nome dell’odio di classe. Per vincere le resistenze dei kulaki alla collettivizzazione bolscevica, Stalin decise infatti di far morire letteralmente di fame milioni di contadini. Per realizzare questo mostruoso progetto ordinò all’esercito e alle formazioni del partito comunista, di requisire dalle campagne tutti i generi alimentari e gli animali domestici che riuscivano a trovare. I campi furono spogliati e le case di tutti i villaggi furono perquisite. Gli alimenti e il bestiame sequestrato furono ammassati in punti di raccolta presidiati dai soldati. Per un intero inverno e per diversi mesi ancora, l’intera popolazione rurale fu lasciata morire per la mancanza di cibo. Coloro che, stremati, pensarono di rifugiarsi nelle città per sfuggire alla morte, le trovarono presidiate dai militari e furono respinti indietro verso il loro destino di anninetamento.

I costi in termini di vite umane furono altissimi. Anche se molti storici indicano cifre più alte, la stima prudenziale delle vittime sulla quale tutti concordano è di non meno di 6 milioni di morti, di cui quattro nella sola Ucraina e due milioni nel complesso degli altri territori sotto il giogo sovietico.

Il Principe Giallo per il quale Vasyl’ Barka fu candidato due volte al Premio Nobel, uscì nel 1962, ma abbiamo dovuto aspettare 54 anni prima che il libro fosse tradotto in Italia, per la meritoria iniziativa di un editore specializzato nelle tematiche legate al mondo rurale (Edizioni Pentàgora, Savona, pp.311, €14).

Dalla lettura del libro balza agli occhi un’altra terribile analogia con la Shoah. Così come gli uomini, le donne e i bambini attendevano la morte nelle camerate dei lager nazisti, durante l’Holodomor i villaggi ucraini si trasformarono giorno dopo giorno in lager senza filo spinato, dove prima i più deboli, vecchi e bambini, poi gli adulti, lentamente si spegnevano.

Per non dimenticare gli orrori del Novecento  accanto al Diario di Anna Frank dovrebbe dunque essere adottato nelle nostre scuole anche Il principe Giallo di Vasyl’ Barka. Magari da affiancare al libro di Vasiliy Grossman, Tutto scorre… (Adelphi 1987, pp.229 €11) dove si passano in rassegna gli orrori del mondo sovietico: la perenne tortura della vita dei gulag, la violenza fisica e psicologica sui parenti delle vittime, la delazione come fondamento della società e lo sterminio dei contadini.

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