Parla la storica Usa che non vuole i monumenti fascisti: tutta colpa di Fini e Berlusconi
La storica della New York University Ruth Ben-Ghiat, dopo il controverso articolo sul New Yorker in cui accusava i monumenti edificati sotto il fascismo di rappresentare una sorta di apologia postuma dell’ideologia mussoliniana, ha chiarito il suo punto di vista in un’intervista a La Stampa.
Ovviamente ci tiene a dire (e meno male) che il suo non era un invito alla demolizione, ma resta da parte sua il sospetto malevolo che aleggia su quelle pietre scomode, in quanto – afferma – l’antifascismo, invece, non ha i suoi monumenti, e la povera Laura Boldrini, rea di avere chiesto di cancellare la scritta Dux dall’obelisco del Foro Italico (ex Foro Mussolini), è stata travolta dalle critiche.
“L’articolo – dice Ruth Ben-Ghiat – poneva un problema di natura storica, non estetica, sulla memoria del fascismo, in un’epoca in cui la destra risorge ovunque… Questi edifici sono belli, ma è sbagliato decontestualizzarli e guardarli solo come oggetti, non legati alla violenza fascista. In particolare ora che c’è un impulso politico a valorizzare la destra, mentre l’antifascismo non ha quasi una eredità monumentale visibile, nonostante sia il valore fondante della Repubblica”.
Siamo dunque alla demonizzazione per “dovere storico” (pur senza demolizione) di edifici che oggi vengono guardati semplicemente come frutto dell’architettura razionalista del Ventennio. Sbagliato, secondo la storica americana. Perché in Italia c’è stata una revisione del fascismo iniziata “negli Anni Novanta, quando Fini andò al potere dicendo che Mussolini era stato un grande statista, e Berlusconi notava che non aveva ammazzato nessuno. Ciò ha aperto la porta alla revisione. Non dico che gli italiani sono sempre fascisti. Però ora che i neonazisti sfilano in America, ed esiste una tendenza globale a rivalutare la destra, si dimentica la violenza codificata in questi edifici. Il Palazzo della Civiltà Italiana è bello, ma ha incisa una frase presa dal discorso di Mussolini per l’invasione dell’Etiopia. Non sono edifici neutri”.
Inoltre, aggiunge, “l’Italia è stata il primo Paese europeo a portare al potere un partito di destra. Fini ha rinunciato all’antisemistismo, ma non al fascismo nella sua totalità. La destra cambia. Non tornerà il fascismo di prima con gli squadristi, anche se a Charlottesville abbiamo visto di nuovo i teppisti”. Nel suo fanatismo questa storica arriva a paragonare Trump a Violante, il quale disse che”a Salò tutti erano stati patriottici” proprio come Trump ha rivalutato i patrioti del fronte sudista.
Ecco allora spiegato il senso di quell’articolo, che nasce dalla frustrazione della sinistra progressista e liberal per la vittoria di Trump. Tra le conseguenze c’è anche il ritorno di una opposizione ideologica a consegnare il fascismo alla storia perché, se questo processo venisse completato (e col tempo sarà completato), quei monumenti potrebbero essere guardati senza ombre e sospetti, e persino ammirati senza sensi di colpa. Proprio ciò che la furia iconoclasta di certo antifascismo vuole evitre.