Frasi razziste attribuite a CasaPound, il movimento querela il Corriere (video)
«Quando vi chiedete come si finanzia CasaPound: per oltre la metà con i risarcimenti per simili diffamazioni. Stavolta pagherà il Corriere». A scriverlo in un tweet è stato il vicepresidente di CasaPound Italia, Simone Di Stefano, dopo che il Corriere della Sera ha attribuito al movimento le frasi contro gli immigrati di due abitanti del quartiere Tiburtino III di Roma.
Le frasi attribuite a CasaPound
In un video messo in onda dal programma di La7 Piazza Pulita e rilanciato dal Corriere, i due giovani parlano dell’esasperazione che vive il quartiere con toni e parole che definire non mediati è un eufemismo. «Noi siamo ragazzi di borgata che vogliono far rispettare l’ordine perché stiamo andando fuori con l’accuso. Per strada ci possono stare tutti, però bisogna sapersi comportare. Se sei nero, se sei giallo, se sei grigio a noi non ce ne frega un c… proprio. L’importante è che vi sapete comportare. Certo – sottolinea ancora uno dei due – se sei nero e nun te sai comportà, te ne vai a fan… al paese tuo. Te passamo la sveglia proprio, come li pommodori quando li schiacci». In precedenza uno dei due, stavolta in una ripresa in strada, si era scagliato contro i politici, accusandoli di aver lasciato da soli gli abitanti del quartiere e di aver provocato la bomba sociale del Tiburtino III, «buttando qua come immondizia» gli immigrati, molti dei quali ospitati nel contestatissimo centro di via del Frantoio, che nelle scorse settimane è stato al centro di una rivolta popolare.
Ma nel filmato i due marcano le differenze
Dopo la ripresa in strada è stato montato il video incriminato, in cui lo stesso giovane esordisce con un ringraziamento all’associazione Tiburtino III Millennio e a CasaPound, indicando il movimento come l’unica forza politica che non ha lasciato soli gli abitanti del quartiere. Nel filmato prende poi la parola l’altro uomo, quello del «li schiacciamo come pomodori», che rivendica come sul territorio non ci sia solo CasaPound, «ma anche noi». Il primo giovane conferma. Dunque, basta ascoltare le prime battute del filmato per capire che i due non sono di CasaPound. Un passaggio che al Corriere della sera o è saltato o è stato fatto con estrema disattenzione, tanto che al video rilanciato anche sui profili social il quotidiano ha dato il titolo «Schiacciamo i neri come pomodori: le minacce di CasaPound». Dopo la vera minaccia di CasaPound, quella di querela, il titolo è stato rettificato con un generico «Le minacce dei militanti di destra». Ma facendo ore dopo la ricerca su Twitter con la parola CasaPound esce ancora il vecchio titolo, sebbene anche il profilo social del giornale risulti aggiornato. Insomma, anche a rettifica avvenuta il danno è tutt’altro che sanato.
L’avvocato: «La diffamazione lascia memoria»
Non è la prima volta che a CasaPound vengono attribuite azioni o parole che non appartengono al movimento. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato quello di un blitz compiuto a Nichelino, nel Torinese, contro il coro di migranti che cantava Bella ciao. La notizia con la falsa attribuzione al movimento di via Napoleone III è stata sparata dal Fatto quotidiano, che poi, dopo l’annuncio di querela, è stato costretto ad aggiungere in calce rettifica e scuse. Anche in questo caso, però, il danno resta: se si cerca online si trovano decine di articoli che perpetuano la falsa attribuzione. «Di fatto è il lancio della prima notizia quello che rimane, soprattutto nella indicizzazione di ricerca», spiega l’avvocato Domenico Di Tullio, che assiste CasaPound e che ha seguito decine di querele sporte dal movimento. Un titolo sbagliato, prosegue il legale, «ingenera affidamento della notizia nel lettore, lascia memoria della diffamazione, comporta una permanenza della notizia falsa, anche se rettificata, nei motori di ricerca e in quel mondo dell’informazione social che condivide la notizia falsa e ne amplifica la valenza diffamatoria e lesiva della reputazione, in questo caso di CasaPound». Ma come si spiega un caso come quello del Corriere della Sera, in cui basta guardare l’inizio del video per capire che chi parla non è di CasaPound? Per l’avvocato proprio un caso come questo, in cui «il contenuto stesso della notizia è confliggente con il titolo», dimostra «malizia nel riportare goffamente» l’informazione. «Spesso è solo il titolo a essere diffamante, perché il titolista cerca l’effetto per colpire maliziosamente e in questo – sottolinea l’avvocato Di Tullio – CasaPound ha una poco invidiabile tradizione di titoli e catenacci diffamanti. Per fortuna – conclude il legale – i giornali pagano i loro errori».