Il mitico Razzi e i congiuntivi: «Se nascevo prima di Dante, parlavate come me»

9 Set 2017 17:57 - di Giacomo Fabi

Un grande, decisamente un grande, Antonio Razzi, il mitico senatore entrato in Parlamento con Di Pietro, poi approdato alla corte di Re Silvio per salvargli (momentaneamente) il trono all’epoca della rovinosa scissione finiana e reso familiare al grande pubblico dal genio comico di Maurizio Crozza, che ne ha fatto uno dei suoi personaggi preferiti. Ormai cult alcuni suoi intercalare come «te lo dico da amico» (ha rivelato di essersi rivolto così anche a Ciccio Kim, il feroce dittatore nordcoreano che va spesso a trovare) oppure «fatti li ca..i tua», sussurrato con aria complice ad un collega dipietrista che, per vendetta, ne aveva captato e diffuso fraudolentemente la risposta alla domanda sul perché avesse deciso di passare armi e bagagli al centrodestra. Poco aduso ai tranelli della politica, diede prova di drammatico candore rispondendo: «Caro amico, io devo pensare a me e alla mia famiglia. Se sbaracchiamo, addio vitalizio». Da allora, e complice il fatto di aver percorso l’aula di Montecitorio procedendo da sinistra verso destra e non al contrario, è diventato uno dei volti del decadimento della politica fino ad assurgere – lui, italiano all’estero con un passato di emigrante in Svizzera, – a simbolo dell’odiata casta parlamentare. Ma non per questo se n’è risentito. Anzi, come gli ha riconosciuto una scrittrice rossa e de sinistra come Dacia Maraini in un confronto a distanza animato da David Parenzo e postato in un video online dal Corriere della Sera, il suo vero punto forte è «la bonomia, la sua capacità di non aggredire e di non insultare mai l’interlocutore». E, da vero gentiluomo abruzzese, Razzi ha ricambiato definendo la Maraini «grandissima scrittrice» pur ammettendo di non averne mai letto un libro «per mancanza di tempo». Il punto debole, invece, restano i congiuntivi («Magari saprei scrivere come la Maraini», ha detto a un certo punto). «Questa è una guerra che non vincerà mai», ha maramaldeggiato Parenzo. Ma Razzi non si è minimamente scomposto: «È vero, ma questo è il mio italiano. Voi oggi parlate la lingua di Dante, se io nascevo prima di Dante, parlavate la lingua di Razzi». Sublime. Razzi for ever. Almeno è vero.

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