Nel “divorzio” tra banche e settore immobiliare l’indizio più vero della crisi

31 Ago 2017 17:17 - di Redazione

Il settore immobiliare non è più affare per banche, tra investimenti per nuovi e vecchi progetti che calano e beni di proprietà che vengono venduti appena c’è uno spiraglio. Negli ultimi anni, la parola d’ordine degli istituti tradizionali è stata disinvestire o vendere. È una trend ormai inarrestabile, sia che si tratti di immobili di pregio, asset ereditati nelle epoche più fortunate della storia bancaria, filiali di vecchie casse di risparmio inglobate, o semplice edilizia residenziale in bilancio per colpa di mutui ipotecari concessi a clienti diventati insolventi. Mappature complete delle cessioni di patrimonio non sono state ancora realizzate dalle authority, anche perché spesso le banche (vedi Intesa SanPaolo con Idea Fimit) affidano i loro asset immobiliari non strumentali a fondi specializzati. Altre cercano la vendita diretta: l’ultimo esempio è quello di Carige, che ha deciso di vendere due suoi palazzi di pregio: uno a Milano, in corso Vittorio Emanuele e l’altro a Roma, in via Bissolati. Il secondo fronte è quello degli investimenti nel settore immobiliare: sempre più scarni.

Breglia (Scenari Immobiliari): «Un dramma per il Paese»

Una mutata realtà, quella tra istituto di crediti e mattone, che Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, spiega così: «Le banche stanno uscendo un po’ da tutto, ci hanno messo la croce, che siano privati, costruttori o sviluppatori immobiliari». Se qualcosa ancora resiste del settore riguarda le operazioni di ristrutturazione del debito. A giudizio di Breglia la nuova situazione «è un dramma per il Paese», dal momento che «nessuno più finanzia il 20 per cento del Pil». Ed in effetti è un po’ come se le banche fossero passati da un estremo all’altro, vale a dire dai «finanziamenti per tutto ai soli mutui, che sono anche difficili da ottenere».

L’Ance: in 10 anni investimenti calati nell’edilizia del 36,4%

Lo dimostra il calo di investimenti nell’edilizia, un settore che anche secondo l’ultimo outlook Abi-Cerved è quello dove ancora oggi c’è il più alto tasso di ingresso in sofferenza dei crediti, più del triplo del livello pre-crisi. Secondo l’Ance, nel periodo 2007-2016 il calo degli investimenti in edilizia è stato del 36,4 per cento. Segno che il comparto è diventato troppo rischioso. Senza soldi, però, l’edilizia non riparte. «Abbiamo – ha spiegato in merito Breglia – un enorme stock di patrimonio da finire, circa un milione di case già iniziate o quasi finite con cantieri in corso, di cui mezzo milione è già in vendita». È proprio questo il volto meno indagato, ma più insidioso della crisi.

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