Dna modificato, la scienza apre all’uomo in provetta (videointervista a Balestrieri)
Nuove frontiere della scienza o aberrante deriva sul fronte della manipolazione genetica? Un gruppo di ricercatori Usa è riuscito a modificare il codice genetico del Dna di un embrione umano per «riparare una mutazione grave quanto comune, causa di malattie». La notizia sconvolgente è del New York Times che cita uno studio apparso su Nature che ha fatto il giro web. L’eccezionale “scoperta” americana, realizzata con la tecnica di editing genetico Crispr-Cas9, era stato anticipata dalla Mit Technology Review e segue il primo esperimento nella storia, effettuato due anni fa in Cina.
Dna modificato, la scienza che spaventa
Ricorrendo alla tecnica “modifica dei geni” i ricercatori hanno cambiato il Dna difettoso di alcuni embrioni, ancora a livello di agglomerato cellulare, compiendo un ulteriore passo verso la prospettiva della “creazione” di essere umani geneticamente modificati (anche se per «eliminare il rischio di ereditare problemi di salute dai genitori»). A realizzare quello che in gergo viene definito «gene editing», sono stati alcuni genetisti del Massachusetts Institute of Technology (Mit). Questi risultati, spiegano i ricercatori di Shoukhrat Mitalipov dell’Oregon Health & Science University di Portland, «aumentano la comprensione della sicurezza e dell’efficacia dell’editing del Dna delle cellule germinali umane». Tuttavia – aggiungono bontà loro – molte questioni rimangono aperte, e non solo a livello etico: queste modifiche, infatti, si trasmettono alla prole. All’inquietudine morale per la deriva “uomo in provetta” e alla condanna della comunità bioetica si aggiungono le perplessità scientifiche sulla matassa intricata della riproducibilità dei risultati su altre mutazioni. Finora sono stati identificati più di 10.000 disturbi ereditari controllati da un unico gene, inclusa la cardiomiopatia ipertrofica, una malattia del muscolo cardiaco che colpisce circa una persona su 500 e può causare morte improvvisa.
L’allarme della comunità bioetica
«Questo esperimento richiede una chiara e ferma condanna, in primo luogo dalla comunità scientifica, che ha piena consapevolezza delle implicazioni etiche e antropologiche dell’irruzione della tecnologia nella costituzione della vita umana». Parola del direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, Adriano Pessina, che rivendica la necessità di porre dei limiti al potere tecnologico per poter salvaguardare il senso stesso dell’umanità. «Il rischio – prosegue Pessina – è quello di avvolgere nell’indifferenza il fatto che si siano generati embrioni umani per il solo scopo di ricerca, abbagliati dalle promesse di future terapie o magari, in futuro, di nuove forme di potenziamento delle capacità umana. Ma quando si è indifferenti di fronte anche a una sola vita umana generata e distrutta in nome della ricerca, si è aperta una falla difficilmente sanabile nella nostra coscienza morale. Il rischio è quello di sottovalutare che, una volta aperta la strada alla manipolazione del genoma umano, non sapremo mettere limiti ai progetti di trasformazione delle future generazioni, che diventeranno oggetto e prodotto dei desideri, delle aspettative e delle sperimentazioni genetiche». Ma l’unicità è meno importante della salute?
Ma c’è un’ulteriore possibile deriva, testimoniata dalle parole di Maurizio Balestrieri, ricercatore di Filosofia all’università di Torino, in una video-intervista realizzata dalla giornalista Sabrina Fantauzzi a margine del convegno”Beyond Human” organizzato dalla John Cabot University, che riproponiamo.