Vent’anni anni fa l’assassinio di Versace: è ancora mistero sul movente
Pochi ricordano cosa facevano il 15 luglio 1997. A cosa pensavano, come vestivano, a quali progetti si dedicavano. Alle 9.05 del mattino, in un’assolata Miami, Gianni Versace veniva assassinato per mano di Andrew Cunanan. Pochi istanti dopo, Casa Casuarina, la sfarzosa villa di Ocean Drive che lo stilista aveva eretto a sua immagine e somiglianza si era trasformata per sempre nella sua tomba. Ancora è impresso per molti il ricordo di quelle immagini strazianti, il sangue che cola sui gradini dell’abitazione, il corpo esanime dellos tilista steso sulla barella, la corsa disperata al Jackson Memorial Hospital di Miami.
Oggi, a 20 anni dalla morte di uno dei geni più irriverenti della moda internazionale, l’assassinio di Versace è ancora avvolto nel mistero. A tutt’oggi, non è stato chiarito il movente del delitto. L’assassino dellos tilista è un giovane di 28 anni in pantaloncini e t-shirt bianca, «un personaggio barocco e sinistro – scriverà di lui Tony Di Corcia nella biografia dedicata a Versace – come il prostituto d’altro bordo, tossicodipendente, spacciatore che diventa il serial killer più ricercato dell’Fbi».
Con Versace, quel giorno si chiude per sempre un’epoca. Quella delle supermodelle da lui inventate e celebrate: Naomi, Linda, Carla, Cindy e Karen. Quella dell’amica lady Diana Spencer, ignara che un mese più tardi sarebbe morta tragicamente sotto il tunnel del Pont de l’Alma. O ancora, dei colleghi che con Versace avevano contribuito a scrivere uno dei capitoli più importanti del Made in Italy: Mariuccia Mandelli, Ottavio Missoni, Gianfranco Ferré, Laura Biagiotti e Giorgio Armani.