Sanità, “no” dei medici alle visite a tempo: non si cura con il cronometro
Una visita oncologica? Non può durare più di 20 minuti. Un’ecografia ostetrica o ginecologica? Altrettanto. Mezz’ora, invece, è concessa per una gastroscopia, 35 minuti se occorre fare anche la biopsia di una o più sedi di esofago, stomaco o duodeno. Sono solo alcuni esempi tratti da uno dei “tempari” delle prestazioni specialistiche ambulatoriali che, come denuncia la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), che in una mozione ha chiesto il ritiro dei provvedimenti, «alcune regioni hanno imposto per decreto, senza consultare i rappresentanti dei medici e della sanità».
I tempi dell’industria non applicabili alla sanità
Nella mozione i medici ribadiscono «che il rapporto numero di prestazioni-unità di tempo, proprio dell’industria manifatturiera, non è applicabile alla sanità». La Fnomceo denuncia, quindi, il pericolo per la salute dei pazienti e lo svilimento della relazione di cura e chiede «il ritiro delle disposizioni sui tempari nelle regioni nelle quali sono stati approvati senza la consultazione della professione».
Chiesto alle Regioni il ritiro del provvedimento
La protesta dei medici sta assumendo toni molto duri: «Non voglio neppure pensare di non poter prolungare un’ecografia morfologica sino a che non ho la piena certezza che il feto sia sano, o di non potermi prendere tutto il tempo necessario per comunicare una diagnosi infausta, solo per rimanere nell’ambito della mia esperienza di radiologo», ha affermato Roberta Chersevani, presidente della Fnomceo. «Il nostro codice deontologico – ha concluso – ribadisce a chiare lettere che anche il tempo di comunicazione è tempo di cura. Vogliamo un codice fuorilegge? Una relazione di cura o a ore oppure clandestina? Vogliamo lesinare la quantità di cura erogata ai nostri pazienti, misurandola col cronometro? Il mondo della sanità non può accettarlo».