Migranti, l’ingerenza buonista dei vescovi viola la sovranità dello Stato
Non c’è dubbio alcuno che ogni uomo di chiesa “veda” Cristo in ogni migrante senza stare lì ad almanaccare se egli fugga da guerre, pestilenze, clima o miseria. La Chiesa è con gli ultimi, con i deboli e con gli inermi. Non stupisce, dunque, se in questa meritoria ed insostituibile azione di sostegno spirituale a chi soffre, punti l’indice contro le ingiustizie del mondo e ammonisca i governanti a farsene carico. C’è però un confine che non può essere superato se si vuole evitare, come pure è stato scritto, che l’auspicata misericordia si trasformi in indebita ingerenza. Quel confine si chiama reciproca sovranità ed è un principio consacrato, non casualmente, nel primo articolo del Concordato che regola i rapporti tra Santa Sede e Stato italiano. Da qualche tempo, però, sul tema dell’immigrazione quel confine appare sempre più labile. Solo pochi giorni fa è dovuto intervenire il segretario di Stato vaticano, monsignor Parolin per censurare implicitamente un intervento decisamente politico di monsignor Galantino, numero due dei vescovi italiani, che aveva avuto da ridire («non basta») sull’ormai famoso «aiutiamoli a casa loro» pronunciato da un Matteo Renzi in versione simil-leghista all’indirizzo dei migranti. Evidentemente, dev’essere servito a poco se oggi un altro vescovo, quello di Ferrara, Gian Carlo Perego, si è sentito in dovere di commentare dalle colonne di Repubblica la decisione del governo di rinviare a settembre la controversissima legge sullo ius soli: «È un ritardo che dimostra come si preferiscono i giochi di partito e gli interessi di breve durata alle vere esigenze e necessità del Paese», ha sentenziato. Tralasciamo pure di precisare che non spetta ai vescovi stabilire le priorità degli italiani. Non si può però tacere che il tema dell’immigrazione presenta anche risvolti di tipo concreto e materiale che, se non tenuti nella giusta considerazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche che in parte li gestiscono attraverso una miriade di associazioni, enti e sigle, finiscono per sospingere la Chiesa nella scomoda trincea del conflitto d’interessi. Tanto più che le stesse sono rimaste sostanzialmente afone su temi molto più intranei alla sfera spirituale o religiosa come nozze gay e stepchild adoption. Papa Francesco pretende, e giustamente, che i suoi Pastori «puzzino di pecora» e non di potere. È anche il nostro auspicio. In tal senso, tornare allo spirito del Concordato è oggi un’autentica necessità.