L’ultimo disperato tentativo di Bossetti coi giudici: «Yara poteva essere mia figlia»

17 Lug 2017 10:25 - di Lara Rastellino

Yara non c’è più ormai da anni: ma oggi, per quel sul suo brutale omicidio, è il giorno della verità. Il giorno delle ultime parole concesse all’unico imputato, già condannato all’ergastolo nel primo grado di giudizio e per il quale si attende ora il verdetto d’appello.

Yara, in aula è il giorno delle dichiarazioni di Bossetti

C’era attesa per quello che oggi avrebbe detto in aula Massimo Bossetti, anche se gran parte di quelle che erano le sue dichiarazioni le aveva affidate nei giorni scorsi ai quotidiani riuniti. Non stupisce, anche se comunque fa effetto, il fatto che le prime parole dell’operaio lombardo, condannato all’ergastolo per l’omicidio pluriaggravato della 13enne di Brembate, siano proprio per quella piccola vittima innocente, martoriata e uccisa. Per quella «bambina: una ragazzina che aveva diritto di vivere, poteva essere mia figlia, la figlia di tutti voi», rilancia a effetto Bossetti in aula nelle sue dichiarazioni spontanee davanti ai giudici della corte d’assise d’appello di Brescia. E aggiunge: «Neppure un animale meriterebbe così tanta crudeltà». Poi, sposta nuvamente l’asse del discorso e l’attenzione dei togati su di sé e aggiunge: «Il vero, i veri assassini sono liberi, stanno ridendo di me e della giustizia. Io sono innocente: questo è il più grave errore giudiziario di questo secolo». 

L’imputato torna a chiedere la superperizia sul Dna

Un caso e un processo, quelli intestati all’omicidio della ginnasta tredicenne, giocati molto, se non quasi del tutto, sulla prova del Dna: quella che incastrerebbe Bossetti; quella in nome della quale l’accusa è tornata a chiedere il massimo della pena per l’imputato; quella riguardo la quale l’operaio condannato in primo grado torna a chiedere anche oggi la concessione di una «superperizia», così «posso dimostrare – aggiunge a stretto giro – e con assoluta certezza la mia estraneità ai fatti. Cosa dovete temere se tutto è stato svolto secondo le norme? Perché non consentite che io e la difesa possiamo visionare i reperti? Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato, dubbioso». È con questa veemenza di intenti e dialettica che il solitamente mite e dimesso Bossetti si è rivolto  Cai giudici della corte d’assise d’Appello di Brescia. Dim più: l’imputato sottolinea come fin dall’inizio abbia sostenuto che quella traccia biologica mista – della vittima e Ignoto 1 – «non può essere il mio. Non solo non ho ucciso Yara, ma non ho mai avuto un contatto con lei. Si è verificato un errore, ma non ho mai avuto la possibilità di partecipare all’esame. Se fossi l’assassino sarei pazzo a chiedere la perizia, invece io non temo nulla. Vi supplico e vi imploro di fare questa perizia», ha chiosato Bossetti, il quale, dopo aver parlato per oltre 30 minuti – interrotto due volte dal presidente della corte Enrico Fischetti che gli chiede di non ripetersi e di attenersi al processo – e aver ribadito la sua innocenza e l’umiliazione subita nel sentir raccontare ormai da anni il contrario, cede la parola ai magistrati: ora tocca nuovamente a loro esprimersi con un verdetto.

I giudici riuniti in Camera di Consiglio

E i giudici della corte d’assise d’Appello di Brescia, si sono riuniti in camera di consiglio, dopo le dichiarazioni spontanee di Massimo Bossetti, proprio per arrivare a un sentenza sull’imputato. Il presidente della corte Enrico Fischetti non ha dato tempi per la decisione: «Non abbiamo limiti», ha detto in aula. Sarà lui a leggere il verdetto: conferma della sentenza di «fine pena mai», riforma parziale del primo grado – l’accusa è tornata a chiedere l’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi –, assoluzione oppure perizia sul Dna, la traccia mista trovata su slip e leggings della 13enne attribuita a Ignoto 1 poi identificato in Bossetti. Queste le possibilità che incombono sulla testa di Bossetti.

 

 

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