Isis, 51 attentati in 3 anni: l’Occidente massacrato dai figli dello Ius soli

4 Lug 2017 14:58 - di Federica Parbuoni
isis

Sono 51 gli attacchi terroristici di natura jihadista compiuti in Europa e Nord America negli ultimi tre anni, ovvero da quando nel giugno 2014 c’è stata l’autoproclamazione dello Stato islamico. Le vittime sono state 395 e i feriti almeno 1549, cifre dalle quali sono stati esclusi gli attentatori, la maggior parte dei quali immigrati di seconda generazione, diventati cittadini dello Stato colpito grazie allo Ius soli o alla cittadinanza facile. Il drammatico bilancio di questa guerra scagliata al cuore dell’Occidente è tracciato nello studio Il jiadista della porta accanto. Radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente, realizzato da Lorenzo Vidino, direttore del ”Program on Extremism” alla George Washington University, Francesco Marone, Associate Fellow dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’Ispi di Milano, ed Eva Entenmann, Program manager presso l’International Centre for Counter-Terrorism (ICCT) dell’Aja.

Attentati in 8 Paesi, la Francia la più colpita

I Paesi colpiti sono stati 8, fra i quali la Francia è quella che ha pagato il prezzo più alto. Gli attacchi in Europa sono stati 32, pari al 63% del totale, mentre i restanti 19 hanno colpito il Nord America (il 37%). La Francia, al primo posto con 17 attacchi, è seguita da Stati Uniti con 16 attentati, Germania (6), Regno Unito (4), Belgio (3), Canada (3), Danimarca (1) e Svezia (1). La Francia è anche il Paese con il maggior numero di vittime (239), seguita dagli Stati Uniti (76). Lo studio ha tracciato gli identikit degli attentatori e, nonostante una generale tendenza verso la radicalizzazione in età sempre più giovane, l’età media è di 27,3 anni. Quasi un terzo (27%) degli attentatori aveva più di 30 anni; cinque erano minorenni al momento dell’attacco. Nonostante la crescente presenza femminile nelle reti jihadiste, su un totale di 65 attentatori vi sono solo 2 donne.

Il fallimento dello Ius soli

Il 73% degli attentatori è composto da cittadini del Paese in cui è stato eseguito l’attacco. Il dato non stupisce: nella stragrande maggioranza dei casi, le cronache hanno riferito di come gli attentatori fossero le seconde generazioni di immigrati, che in molti casi avevano beneficiato dello Ius soli o della cittadinanza facile. Non solo, nel restante 27%, il 14% degli attentatori era legalmente residente in quel Paese o in visita da Paesi confinanti; il 5% si compone di individui che, al momento dell’attacco, erano rifugiati o richiedenti asilo; il 6%, infine, al momento dell’attacco, risiedeva illegalmente nel Paese colpito. E ancora: il 17% degli attentatori è rappresentato da persone convertite all’Islam, con percentuali sensibilmente più elevate in Nord America. Almeno il 57% degli attentatori ha trascorsi criminali e solo il 18% vanta un’esperienza di combattimento all’estero come foreign fighters, anche se questi ultimi tendenzialmente sono coinvolti negli attacchi più letali. Il 42% degli attentatori possiede chiari legami operativi con un gruppo jihadista, nella maggior parte dei casi lo Stato Islamico; il 63% ha giurato fedeltà a un gruppo jihadista, quasi sempre l’Isis, durante l’attacco o prima di esso. Il 38% degli attacchi è stato rivendicato da gruppi jihadisti, quasi sempre dallo Stato Islamico.

Il caso Italia

Lo studio sottolinea come nessun attacco abbia colpito l’Italia. In generale, nel caso italiano – si legge nell’introduzione alla ricerca – i fenomeni della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista hanno tratti e portata differenti rispetto a quelli della maggior parte dei Paesi europei e occidentali. In primo luogo, la scena jihadista appare, in proporzione, meno consistente e meno strutturata. Se, per esempio, si considera come indicatore il numero dei foreign fighters partiti per la Siria e l’Iraq, il gap appare evidente. Secondo dati recenti, i combattenti stranieri legati all’Italia sono 122: di questi soltanto un’esigua minoranza ha cittadinanza italiana. Si tratta di un numero relativamente ridotto rispetto a quelli di altri grandi Paesi europei come la Francia (1700 individui), il Regno Unito e la Germania (circa mille ciascuno), ma anche rispetto a Paesi meno popolosi, come il Belgio (470), l’Austria (300), la Svezia (300) e i Paesi Bassi (250). Nel contesto dell’Europa occidentale, il numero dei foreign fighters legati all’Italia può essere considerato medio-basso in valori assoluti e addirittura molto basso in relazione alla popolazione generale (circa 2 foreign fighters per milione di abitanti, contro gli oltre 40 del Belgio). Chiaramente – concludono i ricercatori – di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale di matrice jihadista nemmeno in Italia il rischio è pari a zero.

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