Il tesoretto della web tax, così l’Italia potrebbe incassare milioni di euro

14 Mag 2017 20:04 - di Paolo Lami

Google e Facebook hanno versato, insieme, 2,4 milioni di euro. Praticamente lo 0,3% dei propri ricavi. Briciole per due giganti del web che hanno ricavato, in Italia, 870 milioni di euro.
E’ un discreto gruzzolo quello che si potrebbe ricavare tassando il giro d’affari delle grandi del web in Italia. Un giro d’affari che supera quota 1,7 miliardi di euro secondo l’ultima cifra disponibile, relativa al 2015.
Ma poiché gli aumenti registrati sono a doppia cifra – più 41 % tra il 2010 e il 2015 – certamente c’è stato un ulteriore incremento.

E di fronte a questi numeri è inevitabile pensare di introdurre una nuova normativa per tassare un settore che, fino a pochi anni fa, proprio non esisteva. Un settore passato da 62,1 miliardi di ricavi nel 2011, cioè il primo anno disponibile nelle tabelle, a 143 miliardi del 2015, registrando, insomma, un incremento del 130,3 per cento. E in soli 4 anni.

Sono almeno quattro anni che lo Stato cerca di mettere il cappello sul gruzzoletto. Il primo tentativo di introdurre la web tax risale al 2013, con l’istituzione di un tributo nella legge finanziaria 2014. La “trappola” sarebbe dovuta scattare a metà anno. La misura – prima sospesa e poi abolita – vietava alle imprese di acquisire servizi pubblicitari on line da aziende che non fossero munite di Partita Iva italiana. Sembrava fatta. Ma poi, appunto, saltò tutto.

Nel vuoto normativo che ne seguì fu, poi, raggiunto un accordo “ad personam” prima con Apple, che nel 2015 ha pagato 318 milioni per fare pace con il fisco italiano dal 2008 al 2013. E poi con Google, che ha versato 306 milioni per gli anni 2002-2015.
Il governo per il momento vorrebbe proseguire sulla stessa strada, introducendo delle norme transitorie nel decreto legge di correzione dei conti pubblici.
L’ipotesi più accreditata che si fa strada è quella contenuta in un emendamento, presentato in Commissione Bilancio dal presidente, Francesco Boccia, basata sull’istituto della comunicazione e della cooperazione rafforzata.
In altre parole i big della rete, che svolgano in Italia attività economiche suscettibili di configurare nel loro complesso una stabile organizzazione transitoria, – è questa la frase “magica” – dovranno cercare un’intesa con l’Agenzia delle Entrate.
Una versione così “flessibile” del tributo ha molti vantaggi. Primo tra tutti evita, all’Italia, di diventare un paese troppo”inflessibile” rispetto agli altri.
Nel frattempo prende forma, nel comunicato finale del G7, che si è tenuto a Bari, l’idea di arrivare a un accordo internazionale sulla web tax. Un’accordo che renderebbe tutto più semplice anche per l’Italia.

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