La vendetta di Cavallo Pazzo: a lui la statua più grande del mondo (190 mt)

6 Mag 2017 15:09 - di Antonio Pannullo

Cavallo Pazzo (Crazy Horse), di cui oggi ricorre l’anniversario della sua resa definitiva alle giacche blu, è probabilmente uno dei capi indiani che più hanno colpito l’immaginario mondiale, insieme con Toro Seduto, Geronimo, Victorio, Cochise e pochi altri. È ricordato per la sua partecipazione alla leggendaria battaglia di Little Bighorn del giugno 1876, in cui una coalizione di Sioux (termine improprio, si dovrebbe dire Lakota, nda) e Cheyenne capeggiata da Toro Seduto, Gall e lo stesso Cavallo Pazzo sconfissero la spedizione del 7° Cavalleggeri, guidato da George Armstrong Custer. Questa battaglia ha fatto entrare tutti i protagonisti nella leggenda, per un verso o per l’altro, ma segnò l’inizio della fine per gli indiani, anche se il sangue tra indiani e bianchi continuerà a scorrere per un’altra ventina d’anni. Alla fine del secolo, la cultura indiana scomparirà dalla storia senza che nessuno, fino a pochi anni fa, facesse nulla per impedirlo. Cavallo Pazzo, forse più degli altri, è diventato un personaggio fantastico, mitologico, capace secondo i pellerossa di respingere le pallottole o di comparire dopo morto. Di lui non si sa quasi nulla, in realtà, non c’è neanche una foto sicuramente attribuibile. Quella famosa del Custer Battlefield Museum scattata dal fotografo James Hamilton, è l’immagine più accreditata di autenticità, ma tutte le altre disponibili rappresentano omonimi o capi minori Sioux. Non si sa neanche quando era nato: 1840 o 1841, 1844 secondo altre fonti, e addirittura 1849 secondo altre ancora, ma quest’ultima data non è molto verosimile, perché significherebbe che quando morì, nel 1877, avrebbe avuto solo 28 anni, inimmaginabile per un capo della sua statura. Comunque, nel migliore dei casi, ne aveva appena 37. Cavallo Pazzo da ragazzo decise di far chiamare Tashunka Witko, che vuol dire Cavallo Sacro, più che Pazzo, ma va detto che tra gli indiani la pazzia era una forma di santità più che di malattia mentale come presso di noi. Era di una tribù Lakota Oglala, che negli anni della sua nascita era accampata presso il fiume Cheyenne. Era di carattere schivo e aveva i capelli più chiari di quelli della sua razza, e ricci. Tuttavia la guerra tra Sioux (termine spregiativo con cui indiani rivali chiamavano i Lakota, nda) e americani era già in corso da decenni quando si arrivò al Little Bighorn. Già nel 1864 il generale Sherman, capo delle truppe dell’Ovest, teorizzò la soluzione finale per gli indiani, che poi, come abbiamo visto, fu effettivamente praticata.

La vendetta di Cavallo Pazzo: la statua più grande del mondo

Dopo il massacro del Sand Creek, Cavallo Pazzo compì le sue prime azioni di guerra, insieme con Nube Rossa e Toro Seduto, che per alcuni anni furono coronate da successo, tanto che Washington decise di abbandonare i fortini eretti in territorio Sioux. Non riuscendo a batterli sul campo, il comando statunitense decise, dopo la guerra di Secessione, di affamare gli indiani, togliendogli la loro fonte di sostentamento, i bisonti: li massacrarono quasi tutti, e quasi mai per vera necessità. In questo clima si arrivò alla vera svolta delle guerre indiane: la scoperta dell’oro sulle Colline Nere, territorio considerato sacro dagli indiani. Il colonnello Custer fu mandato a scacciare gli indiani dalla zona, ma subì la clamorosa sconfitta che tutti conoscono. Sembrava il trionfo, ma fu l’inizio della fine, come detto: l’anno dopo, piegati da freddo, fame e malattie, Toro Seduto fuggì verso il Canada e Cavallo Pazzo si arrese al comandante Clark, di Fort Robinson, il quale confinò il capo e i suoi in un campo profughi. Nel settembre di quello stesso anno, il 4, Cavallo Pazzo fu convocato al forte, da cui non tornò più: un soldato lo uccise con una baionetta, forse mentre lui cercava di fuggire, o molto più probabilmente a freddo, mentre alcuni soldati della Polizia indiana, tra cui il suo antico amico Piccolo Grande Uomo, lo avevano disarmato e lo tenevano fermo. Il soldato che lo uccise si chiamava William Gentiles, ma non è sicuro, come non è sicura la causa della sua esecuzione: probabilmente si voleva evitare che tornasse a combattere. Fu il generale George Crook, chiamato Nantan Lupan (Lupo Grigio) dagli Apache, che ne ordinò l’arresto preventivo. Un delitto di Stato, insomma. Tra l’altro, anche Toro Seduto – insieme con suo figlio Piede di Corvo – fu assassinato nello stesso modo nel 1890, per evitare che aderisse alla Danza degli Spettri, creata da Wovoka. Ma il capo Sioux avrà la sua vendetta sui bianchi. A Cavallo Pazzo è dedicato un gigantesco monumento, il Crazy Horse Memorial, scolpito proprio sulle Colline Nere, in Sud Dakota, iniziato nel 1948, che una volta ultimato supererà di parecchie volte in grandezza le facce dei presidenti Usa sul Monte Rushmore. Tra l’altro l’effigie dei presidenti rappresentò un ulteriore oltraggio per gli indiani: il monte Rushmore infatti è sulle Black Hills, considerate sacre dagli indiani. Ma il memorial, iniziato nel 1948, non è ancora terminato. Oggi si può solo distinguere il volto del condottiere indiano. A Cavallo Pazzo sono stati dedicati libri, film, canzoni, piatti di cucina, locali. A lui è attribuita la famosa frase Hoka-Hey, “Oggi è un buon giorno per morire”, pronunciata all’alba del 25 giugno 1876. Riposa nel cimitero di Fort Robinson, in Nebraska.

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