Il business mariano di Medjugorje ha reso finora ben 11 miliardi di euro
Oltre 11 miliardi di euro: è questa la stima più attendibile del giro d’affari che ha ruotato finora attorno al santuario di Medjugorje in Bosnia, alle visioni mariane e ai suoi “messaggi”, oggetto di una indagine da parte della Chiesa e di più di qualche perplessità espressa anche recentemente da Papa Francesco – che sul posto ha inviato un arcivescovo polacco, monsignor Henryk Hoser – ultima in ordine di tempo la dichiarazione a bordo dell’aereo che lo riportava in Vaticano dal santuario di Fatima: “La Madonna non fa la postina!”. Eppure, “i pellegrini a Medjugorje sono circa due milioni ogni anno, provenienti da diverse parti d’Europa, molti anche dall’Italia”, ricorda Marco Paganelli, autore della pubblicazione italiana più recente sul tema, edita da Echos Group, Medjugorje, l’inchiesta: aspettando il giudizio di Papa Francesco, chiedendo che “ora il Pontefice faccia chiarezza, in modo ufficiale e definitivo”. Lo studio più analitico sul business mariano nella piccola cittadina bosniaca di appena 5.000 abitanti ma con quasi 20.000 posti letto e 2.000 lavoratori nel settore del turismo, è stato messo a punto dalla locale facoltà di Scienze sociali dell’Università dell’Erzegovina, il cui ricercatore Vencel Culijak parla di “brand mondiale e destinazione top del turismo religioso”, prendendo in considerazione i movimenti registrati dal 1981, anno delle prime “apparizioni”, fino al 2013 e analizzati e pubblicati nell’anno successivo. Ai quasi 8,5 miliardi di spese turistiche tra viaggio e alloggio, vanno aggiunti dal 1881 i circa 3 miliardi di euro generati localmente a vantaggio di ristoratori e commercianti, oltre alle offerte per la Chiesa pari in media a 300 milioni di euro senza contare le donazioni, facendo salire appunto a oltre 11 miliardi di euro il conto finale. Tutto ciò non porta molto nelle casse statali della Bosnia, perché il 70% delle entrate sfugge al fisco in quanto prodotto da alberghi, osterie e negozi senza licenze o che lavorano in nero, evitando di registrare le entrate. Identico discorso si può fare per la tassa di soggiorno, che anziché gli stimati 600.000 euro rende soltanto 40.000 euro, anche se negli ultimi anni si stanno stringendo i lacci fiscali sulle attività economiche locali.