Il caso Calabresi: da Scalfari scuse private dopo il pubblico linciaggio
Quarantacinque anni sono passati da quel 17 maggio del 1972, ma la morte violenta del commissario Luigi Calabresi, preceduta da un linciaggio mediatico senza precedenti ad opera di politici, giornalisti, artisti ed intellettuali, resta ancora una ferita purulenta e sanguinante. Dalle colonne di Libero, Vittorio Feltri ne ha chiesto conto ad Eugenio Scalfari, uno dei firmatari dell’appello contro Calabresi: «Scrivi un manifesto da proporre ai firmatari di allora da sottoscrivere con una semplice frase: abbiamo sbagliato». E Scalfari, da quelle di Repubblica, ha replicato rivelando di averlo già fatto dieci anni fa con Gemma Calabresi, vedova del commissario: «Le dissi che quella firma era stata un errore. Lei accettò le mie scuse e si commosse». Mancano solo una musica struggente e l’immagine in dissolvenza. Meno male che Feltri c’è, verrebbe da chiosare. Se non ci avesse pensato lui a infilare il dito nella piaga purulenta, non avremmo mai saputo che a scoppio molto ritardato e quasi alla chetichella nel frattempo il Fondatore era andato ad ingrossare le file dei pentiti dell’infamante lettera-appello contro Calabresi. Ma è così che vanno le cose qui da noi: accuse pubbliche e scuse private. E si capisce: quando c’è da far carriera, l’intelligentsia non bada a spese né alle parole. Salvo poi, a commissario morto, manifestare discretamente il proprio rincrescimento per l’accaduto. Saluti e baci. Se ci riflettete bene, di questo moto perpetuo tra scelte pubbliche e private contrizioni è lastricata la storia della sinistra italiana. Dal dopoguerra ad oggi non è ha azzeccata una che fosse una, eppure sta sempre lì con il ditino alzati a farci la morale e ad insegnarci come stare al mondo. A contenere i suo ferrei convincimenti rimasti orfani con cadenza ventennale non basterebbe un obelisco: dal paradiso sovietico, che invece era un inferno, alla “meglio gioventù”, che invece annoverava i peggio terroristi, al salario come variabile indipendente, che negli anni ’70 ci regalò l’inflazione a due cifre e, per venire ai giorni nostri, alle scellerate politiche sull’immigrazione incontrollata, all’utero in affitto, all’ideologia gender e ad altre mercanzie del genere su cui oggi la sinistra si batte contri i suoi avversari e per cui domani – scommettiamo? – si batterà il petto. È la storia a dirlo. Basta attendere.