«Torrisi non ci rappresenta». Alfano, tra fedeltà e poltrona, ha già scelto…
«Clima tranquillo, normale». Viene descritto così da qualche componente la seduta della commissione Affari costituzionale del Senato che oggi Salvatore Torrisi (Ap) ha presieduto (all’odg il decreto sulla sicurezza urbana) per la prima volta nella funzione di presidente a pieno titolo. Ieri la sua elezione a sorpresa a scapito del candidato Pd Giorgio Pagliari aveva innescato violente polemiche nella maggioranza con tanto di richiesta, ribadita anche oggi dal leader centrista Angelino Alfano, di rinuncia all’incarico in nome del principio pacta sunt servanda con il principale alleato, al quale la presidenza spettava dopo la promozione di Anna Finocchiaro a ministro. Ma Torrisi non lascia. «Prendo atto della scelta del senatore Torrisi. Amen. Ha scelto la sua strada. La nostra è diversa: il senatore Torrisi non rappresenta AP al vertice della commissione Affari Costituzionali», commenta Alfano. Che a quanto pare tra il suo fedelissimo e la poltrona di governo, con tenuta di maggioranza, ha scelto la seconda. Ma lui, Torrisi, non se ne va. «Il gruppo di Alternativa Popolare al Senato mi ha espresso solidarietà, ha condiviso la mia posizione. Io resto al gruppo. Ieri c’è stata una riunione e io mi atterrò alle decisioni del gruppo parlamentare di cui faccio parte», spiega.
Una pantomima che tiene banco, nei palazzi della politica romana, non senza ironie di chi la osserva. «Anche oggi dobbiamo stendere un velo pietoso sulla figura che ha fatto la politica. Immagino i disoccupati, i pensionati con la minima, gli imprenditori strozzati dallo stato, assistere al teatrino Alfano-Renzi-Torrisi. Privilegiati che si scannano e si ricattano per una poltroncina in commissione. Renzi e Alfano si facciano da parte, tolgano finalmente le mani dal potere e liberino il Paese dalla stretta mortale della loro incapacità», commenta Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega Nord al Senato. «Il Parlamento non è la cucina di Masterchef dove c’è uno che fa il fenomeno e gli altri dicono “sì chef”. La lezione del 4 dicembre dovrebbe essere stata chiara: non c’è più un capo che ordina e gli altri che eseguono. Sulle materie istituzionali non sono ammesse forzature ma dialogo e confronto per allargare il campo del consenso», è invece il commento del deputato di Mdp, Roberto Speranza.