L’identikit del terrorista? Giovane, musulmano, urbano e spacciatore
Lo Stato Islamico, conquistando ed esercitando sovranità territoriale su parte di Siria e Iraq, “ha dimostrato di aver superato il momento di pura progettualità di Al Qaeda, rivendicando la rinascita del califfato; questo messaggio agli occhi di determinati soggetti non solo sembra elevare l’Islamic State a guida legittima per la conduzione del jihad globale ma rappresenta un messaggio vincente che viene offerto a chiunque intenda coglierlo”. È un approfondimento di Gnosis, la Rivista italiana di Intelligence, a sottolineare che “se in Al Qaeda l’obiettivo individuale e quello dell’organizzazione erano necessariamente coincidenti, annullando il primo nell’interesse del secondo, con la politica di adesione orizzontale generata dall’Islamic State il discorso cambia e in molti casi si assiste alla nascita di relazioni e legami di adesione, anche strumentali e generati da un vicendevole interesse”. Non solo: l’esperienza di coloro che hanno combattuto in Siria e in Iraq “potrebbe incoraggiare l’esercito di simpatizzanti che tra le mura di casa – e sono molti più di quanti si creda – hanno aderito silenziosamente alla loro iniziativa vivendo attraverso la loro azione un comune momento di riscatto. Propaganda, voglia di riscatto e rabbia contro il sistema “renderanno agguerrita una componente generazionale che, contrariamente a prima e forte dell’esperienza del jihad, sarà ancora più determinata”. Nella proposta dello Stato Islamico a emergere è infatti “una politica di assoluta inclusione che, adeguatamente motivata, ben si contrappone a quel modello di forte esclusività che contraddistingue la società europea”. Questa condizione “ha certamente incoraggiato molti giovani europei musulmani di seconda generazione non solo a identificarsi idealmente con l’autoproclamato Stato islamico, ma a desiderare di volerne far parte. In questo – rileva il magazine dell’Intelligence italiana – ha avuto un ruolo primario la narrativa proposta dalla propaganda del califfato che, fornendo una chiave di lettura manichea, traccia una netta divisione tra il noi e il loro relativizzando la percezione del mondo e condannando tutto ciò che è contrario all’Islam radicale e alla pratica del jihad”.
Il giovane radicale non parla più la sua lingua d’origine
Ma qual è l’identikit del giovane musulmano di seconda generazione, “figlio di immigrati dalle visioni tutt’altro che radicali che nasce, cresce e vive nelle città europee secondo costumi occidentali e che poi decide di abbracciare il progetto jihadista?”. Il carattere predominante è certamente “la giovane età che rientra nella fascia 16-29 anni; nella maggior parte dei casi sono giovani che parlano meglio la lingua del Paese europeo in cui vivono piuttosto che la lingua di origine familiare e risiedono prevalentemente in centri urbani. Il sesso che domina le statistiche è quello maschile anche se non vi sono discriminazioni di genere, anzi il trend femminile, che attualmente si attesta tra il 15-20%, è in netto aumento. Gran parte di loro hanno pregresse esperienze riferibili a contesti di microcriminalità, nella maggior parte dei casi legati al mondo del piccolo spaccio”. Sono “diverse le variabili motivazionali” che “spingono oltre gli appartenenti all’ala deviata delle seconde generazioni musulmane, sempre più contraddistinta da un forte stato di disaffezione rispetto al modello socio-culturale nel quale vive. Le cause di adesione sono dunque molteplici e talvolta, paradossalmente, contrassegnate da elementi assolutamente laici: se alcuni sono attratti dalla possibilità di dare il proprio contributo a una causa già sentita, altri puntano a una vita alternativa senza che alla base vi siano reali motivazioni identitarie-religiose; alcuni identificano il viaggio nei teatri del jihad semplicemente con una eccitante avventura, altri ancora, vi vedono una generica opportunità di riscatto che, altrimenti, in Europa gli sarebbe negata”. Bisogna quindi “riflettere seriamente – scrive Gnosis – sulle criticità che le migliaia di rappresentanti delle seconde generazioni, cittadini europei attivi nelle fila dell’autoproclamato Stato islamico, costituiranno. L’esperienza di coloro che hanno combattuto in Siria e in Iraq “potrebbe incoraggiare l’esercito di simpatizzanti che tra le mura di casa – e sono molti più di quanti si creda – hanno aderito silenziosamente alla loro iniziativa vivendo attraverso la loro azione un comune momento di riscatto”. Un aspetto, questo, “poco considerato ma di assoluta importanza perché identifica il bacino umano dal quale attingeranno coloro che, rientrati dai teatri del jihad, vorranno portare lo scontro lì dove tutto è iniziato, nelle loro città. Ancora una volta, propaganda, voglia di riscatto e rabbia contro il sistema renderanno agguerrita una componente generazionale che, contrariamente a prima e forte dell’esperienza del jihad, sarà ancora più determinata”. “Ci sono gli elementi perché nel medio periodo si possa ipotizzare il sorgere di un nuovo modello di terrorismo interno, intendendo con questo termine la dimensione europea? Probabilmente sì. E, forte e consapevole delle debolezze di un’Europa sempre più titubante a definire logiche di condivise azioni di contrasto, sarà ancora più minaccioso.