Quando l’insulto è legale: un dizionario sulle parole condannate in tribunale

7 Feb 2017 11:51 - di Redazione

Arriva nelle librerie  il Dizionario giuridico degli insulti (A&B editrice), che “passa in rassegna oltre un secolo di sentenze pronunciate dai tribunali italiani”. L’autore è un avvocato cassazionista siciliano, Giuseppe D’Alessandro, che ha già pubblicato le statistiche sugli insulti più presenti sui tavoli dei tribunali.

Un utile strumento, per chi fosse interessato, per stabilire cosa si può dire e cosa no per passare indenne attraverso la burocrazia delle carte bollate. Lo psicolinguista Vito Tartamella, autore della prefazione del volume, spiega che  il dizionario “può essere utile non solo ai giuristi e ai linguisti, ma anche ai sociologi – per capire come cambia la percezione delle offese nel corso delle epoche – e ai giornalisti e blogger, per sapere quali parole possono o non possono usare nel criticare un personaggio pubblico”. 

Nel dizionario redatto da D’Alessandro, segnala Tartamella, “si possono trovare, in ordine alfabetico, i pronunciamenti su 1.203 termini insultanti, alcuni in dialetto ma la maggioranza sono insulti in italiano, e 83 gesti trash: dal dito medio all’ombrello”.

“Nel libro -continua- trovate tutti gli insulti classici, come str…o, carogna, pu….na, verme, ladro, fogna, infame. E anche espressioni molto più creative o ispirate dalla letteratura e dalla cronaca: dentiera ambulante, diesel fumoso, ancella giuliva, barabba, azzeccagarbugli, Zio Paperone, Papi girl, Pacciani, Lewinsky”.

Ma, evidenzia lo psicolinguista, “fra i termini offensivi sottoposti a giudizio, nel volume si trovano anche parole neutre (tizio, boy scout, coccolone) o addirittura complimenti: bella, bravo, onesto. Tutte, espressioni condannate come insulti”. “Com’è possibile? Dipende dall’intenzione comunicativa” perchè, indica Tartamella, “se è vero che con le parolacce posso esprimere anche affetto, pensiamo all’espressione detta fra amici: ‘Come stai, vecchio bastardone?’, è altrettanto vero che si può camuffare un’offesa sotto le sembianze di un complimento“.

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