“Permesso” per Alberto Savi, killer della Uno Bianca. L’ira dei parenti delle vittime

24 Feb 2017 15:03 - di Monica Pucci

La carriera criminale di Alberto Savi, detto “Luca”, nella banda della Uno Bianca, iniziò il 19 giugno 1987, con l’assalto al casello autostradale di Pesaro, e finì con l’arresto del 26 novembre 1994. Assieme ai fratelli terrorizzò l’Italia con rapine, sparatorie e omicidi dagli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90. La banda della Uno Bianca provocò la morte di 24 persone e il ferimento di altre 102, commettendo più di un centinaio di azioni delittuose. Dopo 23 anni di carcere Alberto Savi è uscito dal carcere, per la prima volta.

Savi faceva il poliziotto a Rimini

Alberto, uno dei tre fratelli Savi, condannato all’ergastolo per gli omicidi della Uno bianca, ha ottenuto per la prima volta, in questo mese, un permesso premio: dodici ore di libertà, dalle 8 alle 20, per far visita ad una località protetta non distante dalla città, in una comunità. Il via libera è stato concesso a fine gennaio dal presidente del Tribunale di Sorveglianza di Padova, Giovanni Maria Pavarin. Alberto Savi ha 52 anni ed è detenuto nel carcere di Padova. All’epoca dei fatti era poliziotto della questura di Rimini. Insieme ai fratelli maggiori Roberto, capo della banda e all’epoca dei fatti assistente capo della questura di Bologna, e Fabio, artigiano e trasportatore, rappresentava il nucleo della famigerata “Uno Bianca”. L’ok per il permesso a Savi è arrivato dopo il parere favorevole del
team di esperti (psichiatri e psicologi) che ha analizzato le relazioni della polizia penitenziaria e degli operatori del carcere. Savi è risultato un detenuto modello, impegnato anche in due diverse attività lavorative in carcere. Nel settembre scorso, Savi aveva mandato una lettera all’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, per chiedere perdono per quanto fatto. Contro il permesso premio di Savi si era schierata, invece, la procura, presentando un ricorso al via libera dato a dicembre scorso dal giudice di sorveglianza. A Savi, inoltre, era stato negato un permesso per uscire dal carcere chiesto nel 2010.

La reazione dei parenti delle vittime

È molto amareggiata Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione familiari vittime della Uno bianca e vedova di Primo Zecchi, ucciso da Roberto e Fabio Savi il 6 ottobre 1990, perché stava annotando la loro targa dopo una rapina. La notizia del permesso premio di 12 ore a uno dei fratelli Savi, Alberto, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. «Non dovevano darglielo quel permesso – dice ad AdnKronos -. le persone che ha ucciso insieme ai suoi fratelli non vanno in permesso premio. Sono morte per sempre». «Da poco – racconta Zecchi – sono andata a due commemorazioni di due giovani innocenti di 27 e 21 anni, Carlo Beccari e Massimiliano Valenti, a cui la banda della Uno Bianca e i fratelli Savi hanno spezzato la vita. Hanno agito sempre con crudeltà e senza pentimento. Alberto Savi, inoltre, non si è mai assunto le sue responsabilità e non è vero che è il cosiddetto ‘fratello buono’ dei tre». 

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