Mikis Mantakas, quando il Msi urlò: “Attenti, sta nascendo il terrorismo”…

28 Feb 2017 16:10 - di Antonio Pannullo

Il 28 febbraio 1975 veniva assassinato dagli estremisti comunisti Fabrizio Panzieri e Alvaro Lojacono Mikis Mantakas, studente di medicina greco aderente al Fuan (fronte universitario d’azione nazionale), l’organizzazione universitaria del Movimento Sociale Italiano. L’omicidio avvenne di fronte alla storica sezione Prati, aperta nel 1949 e intitolata a Roberto Farinacci. Quella sezione, malgrado numerose vicissitudini nel corso degli anni, è rimasta sempre aperta, e lo è ancora oggi, sebbene ovviamente non più come Msi. Il ricordo di quel giovane poco più che ventenne comunque non si è mai spento a Roma, e ancora oggi Mikis viene ricordato ogni 28 febbraio nel luogo dove cadde. Le circostanze del suo assassinio le abbiamo ricordate molte volte, la sia storia è raccontata nei libri, e speriamo che a lui sia presto o tardi intitolata una strada o una piazza che ne ricordino il drammatico e assurdo contesto in cui maturò il crimine. E il contesto era questo: i disordini, anzi, i proditori assalti contro il Msi, avvenivano già da diverso giorni, perché i giovani missini stavano seguendo le udienze in tribunale del processo agli assassini di Primavalle, ossia ai comunisti di Potere Operaio che molto eroicamente tre anni prima avevano bruciato vivi i fratelli Mattei a Primavalle, Virgilio di 22 anni e Stefano di appena 8. Nonostante ciò, i comunisti di allora difendevano Lollo, Clavo e Grillo, carnefici di questi giovani innocenti uccisi solo per odio politico. Perché parliamo di contesto assurdo? Perché i “duri” di Potere Operaio che commisero con ferocia quel crimine erano e sono obiettivamente indifendibili, oggi non troverebbero probabilmente nessuno disposto a difenderli, neanche a sinistra. Ma allora era diverso: gli incendiari di Primavalle, ricchi comunisti, trovarono una vergognosa quanto sorprendente solidarietà praticamente da tutta la sinistra: oltre ai soliti Dario Fo e Franca Rame, ci furono legioni di avvocati pronti a difenderli, tra cui il comunista Umberto Terracini (che tra l’altro fu uno dei costituenti!), attori e pseudo artisti solidali con gli assassini, e persino qualche politico che oggi siede ancora in parlamento. Fu fatto un manifesto di solidarietà con Lollo, Clavo e Grillo, con centinaia di firme in calce; sarebbe come se oggi qualcuno facesse una campagna di solidarietà coi terroristi dell’Isis che tagliano le teste. Ma allora le cose erano molto diverse: uccidere un fascista non era reato, e così che lo faceva, anche se era un bambino di 8 anni, meritava la stima dei comunisti. Per Mantakas fu lo stesso: addirittura giovani missini furono aggrediti mentre andavano ai suoi funerali, uno di questi fu Teodoro Buontempo. Negli archivi informatici del Secolo d’Italia ci sono numerosi articoli relativi alla vicenda di Mikis Mantakas.

Mantakas assassinato dall’intolleranza della sinistra

Ma è importante oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, ristabilire una verità storica: quella che asserisce che se la classe dirigente del Msi fosse stata ascoltata attentamente dai vertici dello Stato italiano, probabilmente nel nostro Paese non ci sarebbe stata la stagione del terrorismo armato, gli anni di piombo, e anche le Brigate Rosse sarebbero state stroncate sul nascere e comunque molto ridimensionate. Il caso-Mantakas lo dimostra benissimo: Lojacono passò alle Brigate Rosse, uccise il giudice Tartaglione, fu sospettato di altri due omicidi delle BR nonché di far parte del commando di via Fani. Fu solo dopo il delitto Moro che le autorità decisero di indagare sul terrorismo rosso, negli anni precedenti erano concentrati, sin dal 1970 col famoso Bianchi d’Espinosa, sul pericolo fascista, pericolo che in Italia non ci fu mai. Il Msi mise sull’avviso il sistema fin da quando i comunisti sequestravano i sindacalisti, fin da quando si organizzavano nelle fabbriche del Nord, fin da quando incendiavano auto e lasciavano volantini programmatici, fin da quando facevano saltare le sezioni del Msi e iniziavano a uccidere gli uomini della fiamma. Uno dei primi delitti delle BR d’altra parte fu proprio quella di via Zabarella a Padova, nel giugno del 1974, ossia un anno prima del delitto Mantakas, quando un commando delle BR penetrò nella sezione missina e assassinò a sangue freddo i due militanti che si trovavano nella sezione, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. E un anno prima, nell’aprile 1973, c’era stato il citato rogo di Primavalle. In quella e in altre occasioni i parlamentari missini, a cominciare da Giorgio Almirante, avevano avvisato il governo che a sinistra si stava formando un nucleo di terroristi armati che avrebbero insanguinato l’Italia per decenni, ma furono inascoltati: innanzitutto perché erano considerati fascisti, e in secondo luogo perché molti erano davvero convinti che la violenza venisse solo da destra e che le accuse di Almirante fossero solo una sorta di depistaggio. Ma a fronte di chi era convinto in buonafede di questo, c’erano altri, ed erano la maggioranza, che sapevano che i missini avevano ragione: i sindacalisti comunisti, in primo luogo, poi le forze dell’ordine, poi i magistrati , che vedendo quello che accadeva sul territorio sapevano perfettamente come stessero le cose, e cioè che i missini erano vittime e le sinistre estreme gli aggressori: tolta la violenza di reazione, da destra non è mai venuta alcuna aggressione, tantomeno contro lo Stato. Certo, coi “se” non si fa la storia, ma la politica e la magistratura avrebbero dovuto leggere con attenzione il Libro bianco del Msi sulla violenza rossa presentato dal Msi nei due rami del parlamento e al Campidoglio, così come avrebbero dovuto leggere il libro-inchiesta realizzato da due giornalisti del Secolo d’Italia dopo l’omicidio del giovane greco Da Primavalle a via Ottaviano. Se l’avessero fatto, se avessero preso in considerazione le parole dei fascisti, in Italia la stagione del terrorismo non ci sarebbe mai stata, e decine di missini, poliziotti, carabinieri, giudici, sarebbero ancora vivi. Insieme con Moro e la sua scorta. Con i “se” non si fa la storia, ma poiché oggi l’intolleranza della sinistra verso la destra – o quello che la sinistra considera destra, come la Lega – è praticamente la stessa di quegli anni, evitiamo che la storia di ripeta. E convinciamo la sinistra ad accettare il responso della democrazia, insegniamole che non si può impedire a nessuno di parlare o di vincere le elezioni, solo perché ha un’opinione contraria.

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