Solo polemiche e proteste. Ha ancora senso l’apertura dell’Anno giudiziario?

28 Gen 2017 13:23 - di Francesca De Ambra

Ha ancora un senso l’inaugurazione dell’Anno giudiziario? Nella migliore delle ipotesi, è una ripetizione di cose già dette. Nella peggiore, è l’occasione per mandare in onda la consueta sceneggiata a colpi di proteste urlate e di polemiche assenze da parte di chiunque (ad eccezione, finora, di imputati e parti civili) orbiti intorno al pianeta giustizia: magistrati, avvocati, personale amministrativo. In entrambi i casi, è un rito trito.

Da Trieste a Palermo, l’Anno giudiziario è un rito trito

A Roma, il primo presidente della Corte di CassazioneGiovanni Canzio, ha bollato con parole di fuoco l’eccesso di autonomia dei pm ed ha invocato «maggiori controlli giurisdizionali» sull’attività delle procure, attirandosi per questo gli strali di Piercamillo Davigo, leader dell’Anm, il sindacato delle toghe: «Il controllo esiste già. Altrimenti si spieghi», è stata la sua tagliente risposta. Davigo era già incazzato di suo per una norma del governo su prepensionamenti e trasferimenti dei magistrati. Sembrerebbe una questione di soldi e di sedi. Ma non è così. La questione è di principio. Quale? Il solito, anzi i soliti: autonomia e indipendenza. «Così facendo – ha infatti insinuato Davigo – il governo vuol scegliere i giudici». Anche il governo è sistemato. Ma chi di polemica ferisce, di polemica perisce. E infatti poi tocca proprio a Davigo finire nel tritacarne delle critiche. Ve lo trascina il presidente della Corte d’Appello di Torino, Arturo Soprano, che in piena cerimonia inaugurale dell’Anno giudiziario accusa a sua volta l’Anm di privilegiare «sterili polemiche» che prima o poi la condurranno alla «sua nullificazione sindacale».

Orlando, il guardasigilli fantasma

In questa maionese impazzita che è ormai diventata  l’apertura dell’Anno giudiziario, con gli “ermellini” che danno il “là” dal “Palazzaccio” romano e con i giudici delle Corti d’appello del resto d’Italia a suonarsela e cantarsela il giorno dopo, ognuno seguendo il proprio spartito, il pensoso ministro Orlando sembra solo preoccupato di non disturbare le toghe più di tanto. «Non mi considero un nemico della magistratura», si è affrettato a a far sapere da Milano dove ha partecipato alla cerimonia inaugurale. E chi gli chiedeva se ravvisasse toni da nuovo scontro tra politica e magistratura, ha candidamente risposto che «non mi pare ci siano le condizioni». Ha ragione. Con un Guardasigilli così impalpabile, le sanguigne toghe nostrane, la guerra se la fanno da soli.

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