«Padre Graziano uccise Guerrina e nascose il cadavere»: ecco perché
Padre Gratien Alabi, il frate congolese conosciuto come Padre Graziano, uccise Guerrina Piscaglia «per paura di uno scandalo». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Arezzo che il 24 ottobre scorso ha condannato a 27 anni di reclusione il sacerdote per omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Padre Graziano e Guerrina, l’incontro «chiarificatore»
Per la Corte di Assise Guerrina Piscaglia fu uccisa il 1° maggio 2014, lo stesso giorno in cui scomparve da casa mentre si stava avviando verso la parrocchia di Ca’ Raffaello nell’Aretino. La donna era innamorata in modo «sofferente e anomalo» di Padre Graziano e chiese un «incontro chiarificatore» e lo ebbe. Sentitosi minacciato e in pericolo (lo ha ammesso negli interrogatori il prete, lei voleva che lasciasse l’abito) Gratien Alabi ebbe una reazione «impulsiva» e «non premeditata». La donna non aveva calcolato la sua reazione.
Non attendibili alcune testimonianze
La Corte di Assise, secondo le motivazioni anticipate dal Corriere di Arezzo, liquida come non attendibili gli avvistamenti di Guerrina Piscaglia successivi al 1° maggio 2014 e anche certe testimonianze che nella ricostruzione del giorno della scomparsa la collocano in orari e punti diversi nel tragitto da casa alla canonica. Padre Graziano non merita le attenuanti, scrive il presidente della Corte di Assise, Silverio Tafuro, per le condotte tenute prima e dopo il grave fatto e perché «non ha collaborato». Nelle oltre duecento pagine, la Corte di Assise afferma che Guerrina Piscaglia non si è allontanata, non si è suicidata, ma è stata uccisa. E ad ucciderla quel giorno a Cà Raffaello è stato padre Graziano.
I 6 aspetti fondamentali che hanno portato alla condanna
All’esito del processo, sono 6 gli aspetti fondamentali sui quali si basa questa convinzione: 1) i contatti telefonici, tanti, che intercorrono fra i due ma si fermano alle ore 14 del 1° maggio 2014 quando la donna sparisce; 2) l’uso del telefonino della donna da parte di Alabi e l’invio dei messaggi che la Corte attribuisce sicuramente alla sua mano; 3) le celle telefoniche dimostrano che telefoni della vittima e di Gratien, dopo il primo maggio, sono attivi nello stesso luogo; 4) il depistaggio creato da Alabi del marocchino di Gubbio per accreditare l’idea della fuga (ne aveva il numero e non lo fornisce); 5) il depistaggio, “ancora più subdolo” di zio Francesco “personaggio inventato” coprendosi con la scusa del segreto confessionale; 6) l’indole di Alabi, incline a dire falsità, come nel caso dei “convegni amorosi” con le prostitute che nega.
Ancora non si conoscono le modalità del delitto
Le motivazioni non chiariscono, e non potevano farlo in assenza di riscontri, le modalità del delitto, avvenuto a Cà Raffaello. Con riferimenti alla giurisprudenza si affrontano la questione dell’omicidio senza cadavere e del processo indiziario di terzo grado, oltre che la questione del ragionevole dubbio.Ora la difesa ha 45 giorni per impugnare la sentenza di primo grado e proporre appello. Padre Gratien Alabi è in convento a Roma agli arresti domiciliari. I familiari di Guerrina, a partire dal figlio Lorenzo, sperano di poter sapere qualcosa di più e dove si trova il corpo della loro cara congiunta.