1944, l’assassinio di Eugenio Facchini: così i Gap innescarono la guerra civile

27 Gen 2017 16:09 - di Antonio Pannullo

Eugenio Facchini, di cui ricorre oggi l’anniversario della morte, fu assassinato – a soli 32 anni – con cinque colpi di pistola alle spalle da tre partigiani comunisti dei Gap, mentre stava andando a mangiare alla mensa universitaria dei Guf di Bologna, città della quale era federale. Era il 26 gennaio 1944, e a Bologna non era ancora scoppiata la guerra civile, grazie proprio a Facchini, che aveva raggiunto un accordo con altre forze politiche per evitare lo spargimento di sangue che poi ci fu. Vediamo come andò: Facchini non era uno squadrista becero e violento, come la sinistra dopo la guerra ha dipinto tutti coloro che non erano dalla parte dei partigiani. Era laureato in Legge, giornalista, scrittore, era stato anche direttore dell’Architrave, un mensile di arte e cultura dove lavorarono tra gli altri Pier Paolo Pasolini, Vasco Pratolini ed Enzo Biagi. Suo condirettore era Massimo Rendina, un combattente in Russia. Era un mensile che faceva la fronda al governo fascista. Lo stesso Facchini aveva scritto un articolo contro lo strapotere dei gerarchi, ma non aveva avuto conseguenze, a parte qualche legittima antipatia. Anche Facchini aveva combattuto volontario sul fronte russo, per poi tornare a Bologna nel 1943, dove fu nominato da Alessandro Pavolini segretario del Partito nazionale fascista cittadino. Dopo l’8 settembre, Facchini decise di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, mentre altri collaboratori del giornale, tra cui Biagi e Rendina, più lungimiranti, passarono con la resistenza. A Bologna Facchini aveva fatto di tutto per mantenere uno stato di non belligeranza, tenendo a freno i fascisti da una parte, e stringendo un patto con i due leader riconosciuti del socialismo bolognese, Paolo Fabbri e Giuseppe Bentivogli, contribuendo al ristabilimento di una pace responsabile. Era chiaro che il Partito comunista non poteva accettare una situazione di questo genere.

L’assassinio di Facchini seguì quelli di Ghisellini e Resega

Va tenuto presente, ai fini della narrazione dell’assassinio di Facchini, che a novembre era stato assassinato ferocemente il federale di Ferrara, Igino Ghisellini, il quale era stato colpito proditoriamente con sei colpi di pistola mentre si trovava da solo e disarmato su una strada di campagna vicino Ferrara, che percorreva sempre. Il corpo fu abbandonato in un fosso. Un mese dopo, a Milano, fu colpito in un analogo attentato terrorista il federale meneghino Aldo Resega. Ghisellini e Resega, come Facchini, erano dei moderati, il cui unico interesse era la sicurezza della popolazione civile. Resega addirittura era intervenuto presso il comando tedesco per impedire rappresaglie in seguito ad attentati partigiani contro soldati tedeschi e fascisti. Uccidendo queste tre persone, il Pci aveva intenzione di innescare una sanguinosa guerra che sarebbe finita solo due anni dopo. Ma il Pci non aveva calcolato che il potere non lo avrebbe preso mai, malgrado la carneficina di oppositori politici che mise in atto prima e dopo la fine della guerra. L’Italia non diventò un pezzo di Unione Sovietica come desideravano Togliatti e compagni. E pensiamo che questo a gente come Ghisellini, Resega e Fachini avrebbe fatto piacere. Facchini, che aveva solo 32 anni, quella mattina entrò nella sede del Guf come tutti i giorni. Mentre saliva le scale fu colpito alle spalle. Un suo camerata che lo aveva accompagnato e si stava allontanando, sentì gli spari e vide fuggire tre persone. Lui era armato, e provò a fermarli, ma riuscì solo a ferirne uno. Ovviamente il piano del Pci per scatenare la violenza e la guerra civile funzionò: stavolta le rappresaglie ci furono e furono durissime: a Bologna vennero fucilati otto partigiani. Un mese dopo, toccò al federale di Forlì Arturo Capanni, anch’egli colpito alle spalle. Ma mentre stavano per essere fucilati dieci ostaggi per rappresaglia, la stessa vedova di Capanni intervenne per salvare loro la vita. Ma ormai la strategia del Pci e di Mosca era uscita vincente. La guerra fratricida insanguinerà l’Italia per altri due anni. A Eugenio Facchini fu intitolata la 23ma Brigata nera di Bologna. È anche utile ricordare che i due socialisti bolognesi Fabbri e Bentivogli furono in seguito assassinati: volevano la pacificazione.

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