Gentiloni: discorso democristiano più che renziano. Con la regia del Colle
Il discorso di Paolo Gentiloni Silveri (così lo ha annunciato la presidente Laura Boldrini) alla Camera è stato breve, ma non così tanto da non far comprendere il messaggio che vi era racchiuso: il governo si augura lunga vita. Altro che governo di scopo, altro che esecutivo finalizzato a riscrivere le regole per tornare alle urne, altro che discontinuità. Ci si è mossi – ha detto il premier – nell’ambito della precedente maggioranza. Non un “limite come qualcuno dice” ma un elemento “da rivendicare con orgoglio”.
L’omaggio a Renzi
Ma attenzione: gli attestati di stima a Renzi finiscono lì. Giusto un ulteriore passaggio per rendere omaggio alla coerenza della scelta delle dimissioni e poi Gentiloni illustra un programma tutto proiettato sullo scenario internazionale. Le priorità sono quelle, scandisce con sicurezza, anche se i toni sono felpati. Il G7, il regolamento di Dublino, l’alleanza con gli Stati Uniti di Trump come stella polare, nel quadro della tradizionale politica estera dello Stivale, la crisi siriana, l’anniversario dei 60 anni dei Trattati di Roma. Impegni che il suo esecutivo dovrà affrontare con Angelino Alfano alla Farnesina, lo stesso che ha gestito in modo improvvido il caso Shalabayeva, lo stesso che non è riuscito ad ottenere risultati di rilievo dinanzi all’emergenza migranti. Il leader di un partitino del 4% (ma le percentuali che i sondaggi gli assegnano oggi sono assai minori). La contraddizione è stridente, ma Gentiloni fa finta di nulla.
La legge elettorale: l’iniziativa non spetta al governo
Sulla legge elettorale -il motivo con il quale la nascita del Gentiloni primo è stata giustificata, avallata e imposta all’opinione pubblica – concede solo un buon proposito. Per dire che il tema non spetta al governo e che la matassa la dovrà sbrogliare il Parlamento: “Prenderà corpo tra le forze parlamentari un confronto sulla legge elettorale per la necessaria armonizzazione delle norme tra Camera e Senato, confronto nel quale il governo non sarà attore protagonista, spetta a voi la responsabilità di promuovere e provare a cercare intese efficaci. Certo non staremo alla finestra cercheremo di facilitare e sollecitare”. Facilitare e sollecitare, dunque, ma non sarà quello l’assillo del governo.
No all’odio in politica
Infine un accenno a grillini e leghisti, che sono rimasti fuori dall’aula. Gentiloni non li nomina, si limita ad evocare le “degenerazioni” della passione politica e a rilanciare il rispetto delle istituzioni contro chi semina odio e paure. “Chi come me è sempre stato animato da passione politica non si ritrova nella degenerazione di questa passione. La politica, il Parlamento, sono il luogo del confronto dialettico, non dell’odio o della post verità. Chi rappresenta i cittadini deve diffondere sicurezza, non paure. Su questo è impegnato il governo e anche su questo chiede alla Camera la sua fiducia”.
Ora guarda ai voti di Verdini
In pratica è lo stile di Mattarella, uno stile neodemocristiano, quello che Gentiloni ha inaugurato col discorso della fiducia. A parole ha rivendicato continuità con l’era Renzi, ma nella pratica ha fatto capire che il vero artefice, l’ispiratore, il regista, si trova al Colle e non a Pontassieve. Il suo governo nasce infatti – ha detto – grazie “alla ferma guida di Mattarella”. Così, ci ha tenuto anche a sottolineare che le regole sono quelle scritte nella Costituzione (difesa ad oltranza dal fronte del No): “Lascio alla dialettica delle forze politiche il dibattito sulla durata del nostro governo. Per quanto mi riguarda vale la Costituzione: il governo dura finché ha la fiducia del Parlamento”. I milioni che hanno votato No sono serviti. Gentiloni guarda da un’altra parte: ai voti di Verdini. Pochi, ma più importanti del “popolo sovrano”.