40 anni fa la tragica fine di Tullio Abelli: dalla Rsi al Msi con la stessa passione

10 Dic 2016 19:58 - di Antonio Pannullo

Quarant’anni fa,  il 10 dicembre 1976, moriva tragicamente il deputato del Movimento Sociale Italiano Tullio Abelli, a soli 55 anni, precipitando da una finestra del sesto piano. Abelli, classe 1921, era stimato e amato da tutti quelli che lo conoscevano, malgrado il suo carattere schivo e riservato: era un uomo che ha vissuto per il partito e che ha letteramente fatto il partito, sin dall’immediato dopoguerra, quando gli fu dato l’incarico di creare il Msi in Piemonte, la sua regione. Ma prima Abelli aveva eroicamente combattuto per il suo Paese, l’Italia: a soli 19 anni era il più giovane sottotenente dell’Esercito italiano. Scoppiata la guerra, si arruolò nella Divisione Folgore, con la quale partecipò alla Battaglia di El Alamein, rimanendo ferito gravemente ma rifiutando di abbandonare i suoi uomini. Per questo e altri atti di coraggio si meritò la Medaglia d’Argento al Valore. L’armistizio dell’8 settembre lo trovò all’ospedale ortopedico Rizzoli di Bologna, dove aveva subito ben tre operazioni alla gamba. Come nacque la Repubblica Sociale Italiana, Abelli vi aderì arruolandosi nella Decima Mas. Alla fine della guerra fu rinchiuso dai vincitori al campo di concentramento di Coltano, dal quale riuscì a evadere. Dopo qualche tempo di latitanza, fu prosciolto da ogni accusa e poté ritornare alla sua Torino (lui era nato a Bricherasio). Ma anche qui non ebbe il tempo di riposarsi: subito dopo la fondazione del Msi, dicembre 1946, si occupò di organizzare il partito nella regione. A gennaio e febbraio 1947, con riunioni quotidiane nello studio del giovane avvocato Marini, creò insieme ad altri reduci della Repubblica la rete tricolore, e riuscì ad aprire la prima sede del Msi a Torino in via della Misericordia 1. Quella stessa sede che nel novembre successivo fu assaltata dai “rossi”, che ferirono Abelli alla testa. Nel marzo del 1948 sfuggì per miracolo a un linciaggio da parte dei comunisti di Cuneo, dove i partigiani si erano macchiati di diverse atrocità, cui fu sottratto dalle forze dell’ordine. Ma lui continuava: a giugno preparò e seguì la stesura dello statuto del Msi che fu presentato al Congresso di Napoli.

Abelli e la nostra comunità in Argentina

Nel 1949 il partito si rese conto del fatto, politicamente e socialmente significativo, che centinaia di migliaia di italiani erano emigrati verso le Americhe, e Abelli fu scelto per andare in Argentina a radunare la comunità italiana e anche a presentarle il nuovo partito. Abelli rimase parecchi mesi a Buenos Aires, e strinse rapporti con moltissimi italiani, anche giornalisti, che gli misero a disposizione le pagine dei giornali italiani, non solo in Argentina, ma anche in Brasile e Uruguay. Si tenga presente che il partito non mandò Abelli in Argentina per motivi economici o chissà per quali trame: no, si trattava di un motivo sentimentale, patriottico, perché a migliaia erano i fascisti che si erano là rifugiati per sfuggire alle persecuzioni degli “alleati” e alle barbare vendette dei partigiani rossi che continuavano anche ben dopo la fine della guerra. Abelli divenne amico di Juan Domingo Peròn, che lo stimava, e che gli diede a sua volta l’incarico di censire i gruppi europei simpatizzanti per la sua dottrina. Probabilmente fu per questa esperienza che Abelli in parlamento si batté sempre le le leggi a favore dei profughi e di coloro che erano stati danneggiati dalla guerra. Tornato a Torino, fondò un settimanale locale, Il Dardo, che riusciva a far sentire la libera voce del Msi anche in Piemonte. Molti anni più tardi, nel 1975, la sede del giornale, che era poi l’ufficio di Abelli, venne incendiato dai rossi, e qualche tempo dopo anche la tipografia dove veniva stampato, circostanze che amareggiarono profondamente Abelli, già provato da stress e superlavoro. Nel 1962 si tentò di mandarlo a processo per ricostituzione, perché in un comizio aveva – secondo gli accusatori – esaltato Mussolini e il fascismo. Abelli, sdegnato, replicò che si trattava di un tentativo per colpire il Msi proprio nel momento in cui stava entrando a pieno titolo nella dinamica politica democratica italiana. La cosa poi non ebbe seguito. Nel 1963, subito dopo essere stato eletto deputato per la prima volta (rimarrà alla Camera per quattro legislature), al VII Congresso del Msi a Roma si schierò decisamente con Giorgio Almirante in opposizione al segretario Arturo Michelini. Nel 1970 fu eletto vicesegretario del partito, carica poi riconfermata nel 1973.

Abelli organizzò l’incontro Agnelli-Almirante

C’è un episodio poco noto all’esterno del Msi: nel settembre 1969 Abelli organizzò con successo a Torino un incontro tra Almirante e Gianni Agnelli, con all’ordine del giorno il possibile avvicinamento del Msi al governo del Paese e la questione del corporativismo. Ma Abelli era sempre un soldato, e un attivista: nel 1970 fu molto criticato dagli antifascisti perché organizzò un campo scuola in un forte militare abbandonato, il Foins, non lontano da Bardonecchia, a cui parteciparono giovani del Msi, del Fronte Nazionale e di Ordine Nuovo. Il campo scuola si chiamò Sigfrido. Nel 1971 Almirante lo nominò responsabile dei Volontari Nazionali. In quello stesso anno Abelli, molto vicino ad Almirante del quale godeva la più completa fiducia, si occupò di redigere e inviare una circolare riservatissima ai “federali” regionali del partito nel Nord Italia, per invitarli a porre in essere la difesa con qualsiasi mezzo delle federazioni e a effettuare un censimento della forza attivistica in provincia. Non dimentichiamo che in quel periodo era iniziato l’assalto armato delle sinistre contro il Msi e quello giuridico della magistratura, non meno aggressivo, e che la federazione di Venezia aveva subito un assalto nel corso del quale era stata completamente devastata. Di qui la preoccupazione di Almirante. Abelli in parlamento e fuori si batté sempre perché fosse riconosciuta ai lavoratori la partecipazioni agli utili delle imprese, e fece numerose proposte di legge affinché lo Stato italiano rifondesse i beni depredati dai comunisti titini ai profughi giuliano dalmati. Quando morì, il 10 dicembre 1976, migliaia di cittadini di ogni parte d’Italia gli tributarono un commosso omaggio, grati per le battaglie che lui aveva sempre combattuto in favore dei più deboli. Alle sue esequie, i giovani del Fronte della Gioventù, i paracadutisti, i carristi, e i superstiti di El Alamein e migliaia di italiani. Abelli, ci ha detto Massimo Magliaro, braccio destro di Giorgio Almirante per anni e conoscitore profondo del Msi e dei suoi uomini, era un uomo che viveva per il partito e che aveva fatto il partito, creandolo dal nulla dopo la guerra e seguendone lo sviluppo in tutti i suoi congressi. Quando è morto, stava proprio preparando il successivo congresso di Roma, nel corso del quale Almirante lo ringraziò pubblicamente e ne ricordò la figura.

(La foto è del 1966, e ritrae Tullio Abelli insieme con Mirko Tremaglia nella federaione di Bergamo in occasione della consegna della Befana tricolore. Tratta dal libro di Adalberto Baldoni “La Destra in Italia”)

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