I terremoti di Umbria e Marche hanno deformato un’area di 600 km quadrati

2 Nov 2016 14:50 - di Robert Perdicchi

I terremoti del 26 e del 30 ottobre hanno deformato una zona di 600 chilometri quadrati. È quanto emerge dalla prima analisi dei dati del satellite radar Sentinel 1, del programma europeo Copernicus, elaborate dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irea-Cnr).  «Una deformazione che si estende per un’area di circa 130 chilometri quadrati, con uno spostamento massimo di almeno 70 cm localizzato nei pressi di Castelluccio è stata rilevata», spiega Riccardo Lanari, direttore del Cnr-Irea, da una analisi delle immagini radar della costellazione Sentinel-1 sul terremoto del 30 ottobre che ha colpito le province di Macerata e e Perugia. Dopo quell’evento sismico, registrato domenica alle ore 7.40 con magnitudo 6.5, sono stati localizzati complessivamente oltre 1.100 scosse, segnala l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Tali risultati, annuncia il direttore Cnr-Irea Lanari, “verranno raffinati nei prossimi giorni grazie ad ulteriori analisi, questa volta con dati radar acquisiti dal satellite giapponese ALOS2 che, operando in banda L, garantisce stime più accurate dell’entità degli spostamenti superficiali in aree con copertura vegetale”. Grazie alle immagini radar e i dati Sentinel-1 ora “è possibile delimitare la zona (40 x 15 km) in cui il terreno si è abbassato a seguito dei terremoti del 26 e 30 ottobre di magnitudo rispettivamente 5.9 e 6.5”, precisa poi Stefano Salvi, dirigente tecnologo Ingv. «Si nota molto bene – sottolinea Salvi – la complessità dei movimenti del suolo, sostanzialmente dovuti a due categorie di effetti: allo scorrimento degli opposti lembi di crosta terrestre lungo i piani di faglia profondi è dovuto l’andamento concentrico delle linee di uguale abbassamento, mentre discontinuità, addensamenti o piegature ad angolo acuto delle frange, sono dovute a fenomeni molto superficiali quali scarpate di faglia, riattivazioni di frane, sprofondamenti carsici. E’ il contributo dei terremoti alla costruzione dei paesaggi Appenninici», conclude l’esperto Ingv.

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