«La mia vita è un incubo»: parla la donna che denunciò il killer di Parigi
Non ha avuto esitazioni nel denunciare e consegnare Abdhelamid Abaaoud, uno dei killer di Parigi, la mente dell’attentato multiplo che attaccò e fece sanguinare il cuore di Parigi in quel maledetto 13 novembre di un anno fa. Oggi Sonia, (ma quello improvvisato è solo un nome di fantasia), la coraggiosa testimone che contribuì a dare una svolta alle indagini sul triplice attacco terroristico costato la vita a centinaia di parigini, è costretta a vivere sotto scorta, e ha affidato il suo “silenzioso” grido di dolore a un libro, Témoin, uscito in queste ore in Francia per le edizioni Robert Laffont.
La donna che denunciò il killer di Parigi
«La mia vita è una prigione a cielo aperto»: sono solo poche parole a cui l’autrice del volume affida il compito di riassumere un bisogno di sfogo immenso. Un bisogno nato nel preciso istante in cui una donna qualunque, una cittadina come tante, ha deciso di non tacere, di non cedere alla paura: ed è stato grazie alla sua coraggiosa testimonianza, allora, se la polizia riuscì a neutralizzare Abdhelamid Abaaoud, il coordinatore delle stragi parigine del 13 novembre, nascosto nel covo di Saint-Denis insieme a due complici. Oggi Sonia non si sente un’eroina, né pensava di diventarlo in quei drammatici giorni che seguirono le stragi, quando decise di fare quella chiamata al centralino della Police Nationale: anzi, le sembrava logico e normale, come ammette lei stessa: «Non è stato eroismo, ma un atto d’amore, da cittadina».
La telefonata alle forze dell’ordine: una “soffiata” determinante
Sonia era la coinquilina di Hasna, la cugina di Abaaoud. Quando quest’ultima le chiese di accompagnarla in auto nei pressi di un parchetto di banlieue non sapeva che dietro ai cespugli si nascondeva proprio lui, l’uomo del terrore, braccato da due giorni dalla polizia di mezza Europa per i 130 morti al Bataclan, allo Stade de France, e nei locali del centro di Parigi. L’jihadista monta in macchina, chiede alla cugina di trovargli un nascondiglio. A quel punto Sonia prende la parola. Cerca di convincerlo a ragionare. Lo racconta lei stessa al Parisien: «Dopo essersi presentato, mi annuncia che stavano preparando nuovi attacchi. Mi sembrava il diavolo. Gli ho detto che l’Islam non è questo, che in un altro attentato sarebbero potuti morire i miei figli. Quando sono rientrata a casa mi sono lavata le mani con la candeggina. E Hasna ridendo mi ha detto che Abaaoud voleva uccidermi perché non si fidava di me». La sua “soffiata” alle forze dell’ordine fu determinante: il 16 novembre telefonò alla polizia, due giorni dopo ci fu il blitz nel covo di Saint-Denis dove il coordinatore delle stragi morì insieme alla stessa Hasna e ai complici.
«La mia vita è una prigione a cielo aperto»
Ora a quella ex coinquilina che durante l’assalto delle teste di cuoio si fece esplodere da kamikaze Sonia pensa tutti i giorni: «Credo che lì, dove si trova, non ce l’abbia con me. Sa che ho preso la decisione giusta». Quella scelta coraggiosa, però, le ha cambiato completamente la vita: vive protetta in un posto segreto lontano da Parigi con la sua famiglia. Con sé ha sempre un cellulare rosso con cui può chiamare direttamente la polizia in qualsiasi momento, non esce quasi più, fa incubi di ogni genere, quando non soffre di insonnia. «La mia vita è una prigione a cielo aperto. Le mie giornate le passo a guardare la tv», racconta oggi, a quasi un anno da quelle devastanti giornate. Ha paura di uscire, paura che la riconoscano: la legge non permette ancora di cambiare identità e così racconta che quando si è presentata ad uno sportello pubblico ha temuto che l’impiegato, che le sembrava la guardasse strano, l’avesse riconosciuta e ha iniziato a balbettare. Il libro è una sorta di atto liberatorio seguito per cercare anche, in qualche modo, di tornare a una vita che somigli un po’ di più a quella di prima. Intanto, sui social network, c’è chi chiede di attribuirle la Legion d’Onore.