Erdogan alla Ue: «Il vostro voto non conta nulla. Ha ragione Trump»

23 Nov 2016 15:15 - di Antonio Pannullo

È rottura tra Ue e Turchia: «Qualunque sia l’esito, questo voto» di domani del Parlamento europeo sul congelamento dei negoziati di adesione tra Ue e Turchia «per noi non ha nessun valore». Lo ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un discorso a Istanbul, tornando a criticare l’Ue anche per un presunto sostegno ai terroristi della rete di Fethullah Gulen e del Pkk curdo. «Abbiamo chiarito più e più volte che teniamo ai valori europei più di molti Paesi dell’Ue, ma non abbiamo visto un sostegno concreto dagli amici occidentali», ha aggiunto Erdogan, sostenendo che «nessuna delle promesse è stata mantenuta» nei confronti della Turchia. In questi mesi, Ankara ha più volte criticato anche lo stop alla liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini, che secondo Bruxelles non può essere concessa senza una modifica dell’attuale normativa antiterrorismo turca. E rincara: «Se l’Occidente chiama qualcuno dittatore, per me è una brava persona». Così il presidente turco, secondo cui a essere considerati come despoti sono in realtà i leader mondiali che non servono gli interessi dell’Occidente. In un discorso a Istanbul in occasione di un incontro dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, Erdogan è anche tornato a difendere il presidente eletto Usa, Donald Trump, criticando chi in «America ha iniziato a chiamarlo dittatore». «Perché non rispettate i risultati delle urne?», ha chiesto Erdogan.

Erdogan dice che gli arresti continueranno

E la Ue replica: in Turchia ci sono «eventi allarmanti», ha detto la cancelliera Angela Merkel a Berlino nel primo discorso in parlamento dopo l’annuncio della sua quarta ricandidatura alla cancelleria. Accanto a forti critiche per la situazione in Turchia, la Merkel ha sottolineato l’importanza di non interrompere i colloqui con Ankara. «Terrò naturalmente anche io aperto il filo dei colloqui con la Turchia», ha detto Merkel dopo aver elogiato il recente viaggio del ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ad Ankara, «ma questo non esclude che sarà chiaramente affrontato quel che vediamo di allarmante». E in effetti sono 39.378 le persone arrestate in Turchia dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio per sospetti legami con la presunta rete golpista di Gulen. Ad aggiornare le cifre è stato il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, precisando che complessivamente sono state avviate azioni legali nei confronti di 92.607 sospetti. E non è finita: «Sappiamo che lo stato non è completamente ripulito da questi gruppi di traditori. Ce ne sono ancora nelle forze armate, ce ne sono ancora nella polizia, ce ne sono ancora nella magistratura e ce ne sono ancora in vari ambiti dello Stato. Non gli permetteremo di distruggere questo Paese», ha detto Erdogan, facendo riferimento agli affiliati alla presunta rete golpista di Gulen. E oggi, un nuovo decreto dello stato d’emergenza ha stabilito il licenziamento di oltre 15 mila dipendenti pubblici, tra cui quasi 10 mila poliziotti e militari, portando il totale stimato dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio a più di 120 mila persone.

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