È morto Dario Fo. Dalla Rsi a Soccorso Rosso: una vita di misteri buffi

13 Ott 2016 11:48 - di Alessandra Danieli

È morto Dario Fo. Aveva 90 anni ed era ricoverato da dodici giorni all’ospedale Sacco di  Milano per problemi polmonari. Regista, scenografo, impresario, scrittore, nel 1977 Fo ebbe il Nobel per la Letteratura «perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi», si legge nella motivazione degli Accademici svedesi.

Dario Fo, un’esistenza fortunata

Un’esistenza lunga e fortunata. «Esageratamente fortunata», ripeteva lui, «con Franca abbiamo vissuto tre volte più degli altri». Una vita irriverente e contraddittoria nella quale spicca la vistosa retromarcia dopo aver indossato giovanissimo la divisa della Rsi. Una pagina che Dario Fo vive come un’onta (ben diversamente da tanti suoi colleghi artisti) da lavare esibendo un’energia antifascista e un livore ideologico che gli valsero la medaglia di icona della sinistra alternativa ed extraparlamentare. Il suo passato repubblichino tornò di attualità all’indomani del Nobel destando molte polemiche. «Non l’ho mai negato, mi sono arruolato volontario per non destare sospetti sull’attività antifascista di mio padre», disse. Ma quando su il Giorno comparve un corsivo con scritto «Anche Fo sa di avere in pancia l’incubo dei suoi trascorsi fascisti», il Nobel querelò per diffamazione. L’impegno politico di Fo culmina con l’adesione al Movimento Cinquestelle  paragonato al movimento di Liberazione partigiana. «È stato un punto di riferimento fondamentale, un compagno di viaggio allegro, geniale e profondo», commentano i parlamentari grillini la morte di Dario Fo, che alle scorse elezioni politiche divenne il nume ispiratore del movimento con il libro  Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia e il Movimento 5 Stelle.

Il matrimonio borghese

Nato a Sangiano il 24 marzo del 1926, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera, dal 1950 Fo comincia a lavorare per la Rai come attore e autore di testi satirici: è il periodo dei monologhi radifonici Poer nano e del colpo di fulmine con Franca Rame che sposa nel 1954 nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano e dalla quale avrà un figlio, Jacopo. «Allora un giorno lei mi prese dalle spalle, mi mise contro un muro e mi baciò. Lì iniziò tutto», racconta Fo che parla della moglie come della sua maestra. Insieme danno vita agli scombinati titoli degli anni ‘50-’60, Gli Arcangeli non giocano a flipperChi ruba un piede è fortunato in amoreLa signora è da buttare. Insieme debuttano in televisione nella scandalosa Canzonissima del ‘62:  dialoghi e scenette provocatorie sul malaffare e le morti bianche: quando viale Mazzini, la Rai democristiana di Ettore Bernabei, chiede il controllo dei testi prima della messa in onda i due sbattono la porta.

Il mistero Buffo e gli arresti

È del 1969  il grande successo di Mistero Buffo, rivisitazione profana della Bibbia e dei Vangeli che gli attirò le ire del Vaticano. Ma il ‘69 è anche l’anno della strage di piazza Fontana: l’attualità, i misteri italiani e lo stragismo entrano prepotentemente nel teatro di Fo, che sera dopo sera scrive e riscrive le pièce modificandole in diretta, come per Morte accidentale di un anarchico. In quegli anni di sangue e di piombo Dario Fo è sempre più vicino alla sinistra extraparlamentare tanto da fondare, insieme alla moglie, “Soccorso Rosso Militante” un’organizzazione per sostenere legalmente ed economicamente “alcuni” detenuti politici: da Valpreda a Sofri, da Pietrostefani a Ovidio Bompressi, accusati dell’omicidio Calabresi dal pentito Leonardo Marino. Da ispiratore di Soccorso Rosso nel 1974, dopo la morte del giovane militante del Fuan Carlo Falvella da parte dell’anarchico Giovanni Marini, Fo organizza una campagna innocentista. Indimenticabile (e vergognosa) la difesa di Fo degli autori del Rogo di Primavalle in cui persero la vita Virgilio e Stefano Mattei, una “difesa”che portò all’assoluzione in primo grado degli assassini, poi condannati definitivamente in secondo grado. «Sono anni pieni. Di casini, dolori, violenze, sgombri, bombe nei teatri, la casa incendiata, nessuno che voleva più affittarcene a Milano, 40 processi. In una tournée raccoglievo anche 260 denunce», raccontava con malcelato orgoglio Fo, che nel 1973 fu  arrestato a Sassari per resistenza a pubblico ufficiale durante la replica di uno spettacolo.

Il cordoglio e la retorica

«Con Dario Fo l’Italia perde uno dei grandi protagonisti del teatro, della cultura, della vita civile del nostro Paese. La sua satira, la ricerca, il lavoro sulla scena, la sua poliedrica attività artistica restano l’eredità di un grande italiano nel mondo», è il messaggio di Matteo Renzi ai familiari del premio Nobel. Nel giro di pochi minuti dalla notizia della morte di Fo si scatena la retorica. «Dario Fo è cultura infinita. La sua morte lascia un vuoto incolmabile da altri», scrive su Twitter il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, «solo la sua arte – aggiunge – può colmare la fine terrena. Dario Fo è eterno». Di parere diverso Renato Brunetta: «Quando muore una persona, ovviamente, cordoglio. Però, nessuna ipocrisia. Dario Fo non mi era mai piaciuto, l’ho considerato sempre un uomo violentemente di parte, un uomo che violentemente ha diviso il Paese», ha commentato il capogruppo azzurro alla Camera. «Pace all’anima sua… Ma non gli perdono, nemmeno da morto, la cattiveria e la violenza che ha avuto in vita contro i nostri ragazzi, la difesa ignobile degli assassini dei fratelli Mattei, e altre bestialità delle quali non si è pentito nemmeno quando la verità storica è emersa in tutta la sua evidenza», scrive su Facebook Marco Marsilio di Fratelli d’Italia.

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