Marocchino uccise con accetta moglie e figlia: condannato all’ergastolo

28 Ott 2016 13:53 - di Fortunata Cerri

Ergastolo, senza isolamento diurno: è la pena che il gup di Pordenone Roberta Bolzoni ha stabilito per Abdelhadi Lahmar, il cittadino marocchino di 40 anni che il 15 aprile 2015 uccise con accetta e coltello la moglie Touria Errabaibi, di trent’anni, e sgozzò la figlioletta Hiba, di 6, mentre dormiva nella sua cameretta. Il processo si è svolto con il rito abbreviato, che ha consentito all’imputato marocchino – reo confesso – di ottenere lo sconto di pena sotto forma della non applicazione dell’isolamento diurno. La procura aveva contestato le aggravanti della crudeltà e della premeditazione – escluse dal giudice – per l’omicidio della moglie e della discendenza e della minore età per la figlia. L’avvocato difensore Giancluca Liut aveva sollecitato per il marocchino il riconoscimento delle attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti sulle aggravanti. È stato anche riconosciuto il risarcimento simbolico di un euro all’associazione “Voce donna” che si era costituita parte civile.

Uccise la moglie e la figlia, l’omicida marocchino: la mia colpa è grande

«La mia colpa è grande. Ho fatto il male più grande che un padre può fare. Un padre deve dare la vita, non toglierla. Ma la mia testa non era la mia testa e le mie mani non erano le mie mani», ha detto durante il processo. «La punizione della legge non sarà mai grande come la punizione che mi danno il mio dolore e la disperazione di aver fatto questo. Anche se mi dicessero che devo morire – ha aggiunto – Perché io sono morto con Touria e Hiba». «Di fronte a una tragedia – ha dichiarato l’avvocato Gianluca Liut –  la domanda è se poteva essere evitata. Questo è il tempo della riflessione, non delle facili speculazioni. Bene ha fatto il Comune di Pordenone a non costituirsi parte civile nel processo, è stato un atto di responsabilità. Una presa d’atto – ha concluso – della necessità di comprendere che le istituzioni devono fare in modo che in futuro non si debbano più piangere un’altra Touria, un’altra Hiba. Abdelhadi Lahmar è consapevole di andare incontro al proprio destino. Ma nessuna pena, seppur pesante, potrà mai essere tanto grave quanto la disperazione per aver perpetrato il peggior crimine che un padre possa commettere: togliere la vita alla propria figlia».

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