Il primo Msi. Battioni ricorda gli inizi di un’avventura “scapigliata e irridente”
Il passaggio dalla clandestinità dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria) alla nascita del Msi, Luigi Battioni – 90 anni tra poco – lo racconta nel suo libro uscito nel 2009, Memorie senza tempo. Quando fondammo il Msi (Fergen), dove rievoca i faticosi, a volte drammatici, primi passi compiuti da un partito formato da reduci che non si sentivano sconfitti. “Il nostro stato d’animo non era quello dei vinti – dice – volevamo reagire. La nostra era una rivoluzione scalcagnata e irridente“. La scelta di fondare un vero e proprio partito nel dicembre 1946, fortemente sostenuta da Pino Romualdi, prevalse su quella, in quei giorni anch’essa dibattuta, di entrare in blocco in un partito di governo “creando una corrente in grado di proporre i nostri uomini”. Il momento costitutivo avvenne negli uffici di Arturo Michelini, in via Regina Elena, poi il nuovo partito ebbe la sua prima storica sede in corso Vittorio Emanuele 24. Il segretario provvisorio fu all’inizio Giacinto Trevisonno, poi sostituito da Giorgio Almirante che all’epoca per vivere dava lezioni private. Nei primi mesi di vita del Msi “con i nostri camerati continuavamo a stampare e vendere i ricordini del Duce e a pubblicare ‘Il tempo del bastone e della carota’ e ‘Storia di un anno’. Li vendevamo alle bancarelle di Fontanella Borghese e spedivamo a Napoli, Bari, Palermo e in altre città del Meridione dove andavano a ruba”.
Arrivarono poi i giovani, “arruolati” nel Raggruppamento giovanile. Di quel periodo “scapigliato” Battioni ricorda Enzo Erra, Pino Rauti, Fabio De Felice, Enrico De Boccard, Mario Tedeschi, Gianfranco Finaldi e anche un giovanissimo Angelo Nicosia che, mandato da Almirante a una tribuna politica, mise a tacere Giancarlo Pajetta che aveva sbagliato una citazione di Marx. Fu una fase di grande fermento, culturale prima che organizzativo, mentre al Msi appena nato guardavano con interesse quelli che avevano scommesso su L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Arrivarono poi anche altri, determinati e coraggiosi: Roberto Mieville, Arturo Bellissimo, Mario Gionfrida, Marcello Perina, Fausto Gianfranceschi.
Giorgio Almirante era instancabile. “Non era un lavoratore, piuttosto una macchina da lavoro – afferma Battioni – ignorava il giorno e la notte. Non sentiva la fame e il freddo, era capace di parlare per ore”. Il primo comizio, per le amministrative di Roma del 1947, Almirante lo tenne nei pressi del Foro Traiano, accolto da fischi e contestazioni. Stessa musica al secondo comizio, nei pressi di piazza San Giovanni. “Fu per Giorgio il primo, durissimo allenamento all’oratoria che per oltre quaranta anni tenne in esercizio con immutato coraggio, su piazze sempre difficili e preparate a creare l’incidente”. Riuscì a parlare mezz’ora, però, al comizio di piazza Colonna, prima che scoppiassero gli incidenti. Tutti i giornali ne parlarono. “Il futuro era cominciato. Non so se eravamo più entusiasti o commossi”.
Battioni era profondamente legato a Pino Romualdi, che considera il vero artefice del Msi. I due. Almirante e Romualdi, erano diversi? “Romualdi era essenzialmente un realista, Almirante idealista. Per Romualdi il passato era storia, per Almirante la radice su cui infuturare il nostro destino. Pino non parlava mai del Duce, se non per brevi citazioni. Almirante quando parlava del Duce o di Mezzasoma si commuoveva visibilmente. Almirante si riferiva ai 18 punti di Verona, per Romualdi bisognava guardare avanti, al giorno successivo”.
Le piazze erano poco praticabili dunque, all’inizio, per i missini. Tra gli episodi che Battioni ricorda c’è il funerale di Gervasio Federici, giovane attivista democristiano ucciso mentre attaccava i manifesti del suo partito. I giovani del Raggruppamento giovanile del Msi decisero di partecipare al corteo funebre: all’arrivo del corteo a piazza Venezia, un gruppo di giovani democristiani si mise a schernire i fascisti nelle ultime file, “ci sonsigliavano il saluto al Duce con irridente sarcasmo”. Poi, improvvisa, una deflagrazione: la folla si disperse, i giovani democristiani che avevano preso in giro i fascisti del Msi scapparono gridando che era “la rivoluzione comunista”, esortando i fascisti a difenderli, a farsi avanti. A seguire il morto rimasero solo loro, i giovani missini. Ma non era una bomba, la deflagrazione era dovuta allo scoppio di una gomma di un autobus in via Quattro Fontane.
Altro personaggio cui il Msi deve moltissimo fu Arturo Michelini: se Almirante fu il “romantico portabandiera”, De Marsanich colui che garantì la sopravvivenza, Michelini fu l’uomo determinato a realizzare un grande progetto politico “raggiungendo traguardi che impensierirono il Pci e la sinistra Dc, particolarmente preparata e versata in veleni mortali”.