La globalizzazione fa male al lavoro: nel mondo 30 milioni di disoccupati in più

12 Ott 2016 15:28 - di Redazione

Pessime notizie dall’economia globale: i disoccupati nel mondo ammontano a 200 milioni, «circa 30 milioni in più rispetto al 2008». Questo significa che, sempre a livello mondiale, considerando che «le attuali tendenze demografiche indicano che ogni anno circa 40 milioni di persone entreranno nel mercato del lavoro», bisogna realizzare «600 milioni di nuovi posti di lavoro fino al 2030», praticamente “domani”. Sono alcuni dati rilanciati dall’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro, Oil), in occasione del convegno Il lavoro nel futuro, organizzato dalla Camera insieme al ministero del Lavoro. Un po’ meglio va per il numero di lavoratori in condizioni di povertà estrema«diminuito notevolmente negli ultimi decenni»,  anche se circa 319 milioni di donne e di uomini che lavorano «vivono ancora con meno dell’equivalente di 1,25 dollari statunitensi al giorno». Alto invece il numero delle cosiddette “morti bianche”, causate, cioè, da incidenti sul lavoro: 2,3 milioni  all’anno.

Lo dice l’Organizzazione internazionale del lavoro

Nel rapporto del direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, si ricorda anche che il tasso di disoccupazione giovanile si attesta «ad un livello molto più elevato» rispetto al tasso di disoccupazione generale; «in molti casi è superiore del doppio». E che il divario retributivo di genere «rimane del 20 per cento» e «niente lascia prevedere una sua rapida riduzione». Legata alla povertà è la questione della protezione sociale: solo il 27 per cento della popolazione mondiale dispone di un livello di protezione «adeguato». Per quanto riguarda i decessi sul lavoro, a cui si aggiungono le conseguenze delle malattie professionali, il costo sociale ed economico è «elevato sia per i lavoratori che per i datori di lavoro e i sistemi di protezione sociale nel loro complesso», sottolinea il rapporto, ed è pari al 4 per cento del pil globale.

Solo nel 2030 livelli occupazionali pre-crisi

«Il semplice fatto – si legge ancora nel rapporto Ryder – che il mondo abbia bisogno di creare 600 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030 per tornare ai livelli di occupazione pre-crisi, per accogliere i giovani che entrano nel mercato del lavoro e per aumentare il tasso di partecipazione delle donne, in linea con gli obiettivi concordati a livello internazionale, sarebbe di per sé motivo di rassegnazione. Eppure, a livello nazionale, – conclude il report – nessun governo e nessun candidato ad una carica elettiva può rinunciare all’obiettivo della piena occupazione».

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