Alemanno: «Il Msi fu una scuola di libertà per i giovani». L’intervista

7 Ott 2016 14:18 - di Robert Perdicchi

Sarà il destino o forse solo una coincidenza, ma la presentazione della mostra sui 70 anni del Msi arriva proprio nel giorno in cui Gianni Alemanno incassa il proscioglimento da tutte le accuse per l’inchiesta su Mafia Capitale, un incubo e una gogna mediatica durata due anni. Sarà un caso anche questo ma non lo si vedeva sorridere così dai tempi della scalata del K2.

«È stato rimosso un macigno, provo un senso di liberazione ma anche di rabbia. E aspetto che qualcuno mi chieda scusa», dice nella sala di via della Scrofa dove lo stato maggiore della Fondazione An presenta la mostra sulla storia del Msi che sarà inaugurata il 20 ottobre. Un’iniziativa che Alemanno considera importante soprattutto per rappresentare i sentimenti di un mondo giovanile di destra nel quale egli stesso ha militato e ricoperto cariche, fino a diventare segretario nazionale del Fuan. (nella foto, presente nella mostra, è in compagnia di Pino Rauti ndr)

Chi erano i giovani del Msi, Alemanno?

«Decisamente la parte più importante del Msi, un partito nel quale tante generazioni si sono formate, ragazzi e ragazze che nel Movimento sociale italiano hanno trovato una scuola di libertà. Ed è questo il paradosso: proprio noi, che facevamo una lotta di opposizione ed eravamo esclusi da tutto ed emarginati dal sistema, abbiamo imparato a difendere la libertà e le speranze del nostro popolo. Quei valori, quei sentimenti, li ritroviamo ancora oggi in persone che sono in posti importanti della società italiana e che provengono da quell’esperienza missina».

Che ricordo ha del suo primo ingresso in una sezione missina? 

«Io sono entrato per la prima nella sede della federazione romana del Msi di via Alessandria quando avevo tredici anni, era il 1971 ed eravamo alla vigilia della grande vittoria del Msi del 13 giugno alle Comunali di Roma. C’era un clima di grande effervescenza ed attenzione nei confronti della destra, non era ancora iniziata la persecuzione, erano i tempi del grande messaggio almirantiano e nelle nostre fila arrivava gente di tutte le età e di tutte le provenienze sociali. Vivevamo davvero un’esperienza diversa da quella di tutte le altre forze politiche ma anche differente rispetto al successivo clima che caratterizzò gli anni di piombo, delle aggressioni, degli scontri, dei morti. All’inizio degli anni Settanta c’era un grande respiro di apertura e di aspettative future che poi si ritroverà nella fase in cui il Msi verrà proiettato verso Alleanza nazionale».

Con gli anni di piombo arrivarono anche i martiri del Msi.

«Un tributo di sangue terribile. Le persone che ho più nel cuore sono le ultime vittime, che conoscevo personalmente. Ne cito una per tutti, Paolo Di Nella, militante del Fronte della Gioventù e ultimo martire del Msi. Eppure, anche in quella occasione, ed eravamo ormai negli anni Ottanta, tutto il mondo della destra seppe dare un grande segno di maturità, non ci furono ritorsioni, vendette, si proseguì in quella ricerca del superamento della logica conflittuale e dello scontro. Ma fu una terribile prova per noi.

Che tracce hanno lasciato i militanti del Msi e le vittime di quegli anni nella destra attuale?

Il richiamo, nei nostri cuori, a una serietà di comportamento e a una coerenza di cui, ogni giorno, dobbiamo rispondere non solo agli elettori e ai simpatizzanti ma anche a chi non c’è più e si è sacrificato per questa idea.

 

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