Emergenza illegalità nei ghetti dell’immigrazione, denunciare non basta
Mentre Matteo Renzi firmava, a Bari, l’ennesimo Patto per il Mezzogiorno, a qualche decina di chilometri di distanza continuava a perpetuarsi lo scempio dei ghetti, dei campi in mano al caporalato e alla criminalità africana. Storia vecchia e nuova. In Puglia e non solo. È lungo l’elenco delle baraccopoli, nelle quali si alimenta lo sfruttamento, l’emarginazione sociale, l’illegalità: Vittoria e Ragusa, Castel Volturno e Villa Literno, l’Agropontino, il litorale domizio.
E poi c’è il “Ghetto” – denunciato recentemente da Fabrizio Gatti, su “L’Espresso” – una landa desolata a qualche chilometro dalla provinciale San Severo-San Marco in Lamis, a Nord della Capitanata, nella Puglia di Michele Emiliano. Qui staziona il maggior numero di lavoratori immigrati in cerca di fortuna nella stagione del pomodoro. Una bidonville che pare un girone dantesco, nel quale, insieme all’indecenza igienica ed esistenziale, a dominare è la prevaricazione del caporalato, lo sfruttamento sessuale e l’intolleranza religiosa, che fa dei trecento cristiani del Togo, del Ghana, della Nigeria, una minoranza in balia dell’integralismo islamico. Lì a governare è la criminalità organizzata ed i caporali africani. I fatti sono noti. Le responsabilità evidenti. Le denunce, in video e sulla carta stampata, si sprecano, ma a dominare è un senso di impotenza diffusa.
Sui ghetti nessuno parla
In un sistema “normale” quei campi verrebbero riconquistati alla legalità “manu militari”.Ed invece oltre le denunce, coraggiose e documentate, non si va. Le istituzioni latitano. Le forze dell’ordine vengono mantenute ai margini. La Magistratura non interviene. I sindacati sono assenti. Di ispettori del lavoro non se ne vedono. Nessuno – in definitiva – sembra volersi fare carico di questo coacervo di emergenze e di immoralità. Ci si accontenta di lasciare spazio alle denunce ed ad un formalismo di facciata (la libertà di stampa ed il solidarismo) che cozza drammaticamente con le condizioni di chi vive in quei ghetti.
«Bruxelles – scrive Gatti – ha inviato una palata di soldi all’Italia che una gara d’appalto ha girato alla “Confederazione nazionale delle Misericordie”, l’associazione cattolica che l’ha vinta. A pochi passi da un disoccupato di Foggia che vende patate dal bagagliaio della sua macchina, gli ultimi inquilini del Ghetto portano notizie del mondo di fuori. Dicono che la polizia adesso fa scendere a Genova i neri che salgono sui treni per Ventimiglia. E sorridono spiegando che aerei pagati dal ministero dell’Interno riportano in Sardegna i rifugiati sgomberati dal confine francese. Qualcuno di loro ha già fatto su e giù addirittura quattro volte: sì, nel caos del prossimo autunno, finiremo con i gommoni che scappano da Olbia per sbarcare a Sanremo».
Renzi firma “Patti” per il Mezzogiorno d’Italia , non rendendosi conto che, oggi, il Mezzogiorno è diventato la prima linea di un’emergenza immigrazione dai risvolti epocali e dalle prospettive drammaticamente oscure per l’intero Paese.
Di fronte a questa realtà, non basta un generico (e formale) richiamo allo Stato. Occorre un decisionismo ricostruttivo in grado di dare risposte concrete all’intreccio tra illegalità diffusa, sfruttamento bestiale, condizioni esistenziali indecenti. E’ sempre più il tempo della consapevolezza e della responsabilità. Chi tace acconsente ed è complice.