Dove sono gli economisti della London School of Economy?

2 Set 2016 13:40 - di Enea Franza

Non c’è che dire, la storia non insegna molto. A sentire, infatti, le soluzioni proposte dagli economisti per uscire dall’impasse in cui è finita l’economia europea e americana, non può dirsi certamente che l’esperienza giapponese abbia preparato economisti in grado di suggerire la ricetta giusta per uscire fuori dalla crisi. Solo per rinfrescare la memoria dei più, la crescita economica del Giappone è stata interrotta negli anni Novanta dallo scoppio di una colossale bolla immobiliare, seguita da una serie di crisi bancarie, travolte dalla rapida crescita delle sofferenze delle citate istituzioni finanziarie.

L’analisi dagli anni ’90 e gli economisti

 

E veniamo al punto. Gli anni Novanta sono stati dominati dalla diffusa convinzione che una massiccia spesa pubblica e una immissione straordinaria di liquidità avrebbero restituito la necessaria fiducia sui mercati e spinto la ripresa dell’economia. Sono stati anni nei quali il Giappone ha avviato importanti progetti di lavori pubblici e di taglio delle tasse. Ma l’economia non è ripartita e, addirittura, il volume delle sofferenze bancarie è continuato a crescere, tanto che alla fine degli anni Novanta abbiamo assistito al tracollo di molte tra le più importanti banche giapponesi. Solo verso il 2001, la società giapponese ha finalmente abbandonato l’idea che la ripresa economica avrebbe portato di per sé alla riduzione dei prestiti inesigibili ed alla stabilità del sistema finanziario ed è arrivata a capire che, al contrario, per ottenere una qualsiasi ripresa si doveva prima stabilizzare il sistema finanziario e eliminare l’insicurezza sui mercati.
Bene, il cambio sostanziale della politica economica ed il risanamento della componente finanziaria di quell’economia, attuato con la richiesta al mondo bancario di provvedere a massicci aumenti di capitale e ad una nuova stagione di fusioni, ha dato buoni frutti, restituendo fiducia al mercato e contribuendo all’espansione economica tra il 2002 e il 2007.

Gli Stati Uniti e gli altri Paesi europei

Negli Stati Uniti e in altri paesi soprattutto europei, l’opinione comunemente accettata oggi è simile a quello che era il pensiero dominante nel Giappone negli anni Novanta. L’opinione pubblica, infatti, nella sua maggioranza, non si è ancora resa conto che politiche come la temporanea nazionalizzazione delle banche e la riabilitazione dei soggetti fortemente indebitati sono una precondizione della ripresa economica. Uno sguardo agli indici macroeconomici, infatti, evidenzia come i segnali di ripresa economica dell’economia americana ed europea siano, estremamente deboli e come il sistema sia intimamente vulnerabile a ricorrenti crisi finanziarie. I mercati di borsa europei ed americani, si incaricano di dimostrare giornalmente tale fragilità. La situazione, dunque, per quanto il paragone possa sembrare ardito, è molto vicina a ciò che è accaduto più volte nel corso degli anni Novanta in Giappone.

 

L’errore degli economisti e dei politici

Ma chiediamoci, l’errore e degli economisti o dei politici? Invero, nei tradizionali modelli neo-keynesiani o neo-classici, gli agenti economici sono le famiglie, le imprese ed il settore pubblico, mentre il sistema finanziario è semplicemente considerato un velo tra gli altri tre settori e ciò confina la questione delle sofferenze a problema microeconomico relativo all’industria bancaria.
Viceversa, le crisi finanziarie, con la loro ricorrenza, dimostrano che il problema è insito nella struttura economia capitalistica e che, come tale, sono necessari modelli integrati di politica economica. In altre parole, nella generalità dei casi, gli economisti hanno un gap culturale che va certamente colmato. Per affrontare l’attuale crisi, il focus delle politiche economiche va posto sulla funzione delle istituzioni finanziarie come mezzi di scambio e sulle condizioni che possono portare ad un malfunzionamento di tale intermediazione.
Ma, purtroppo, in questi anni la scienza economica è stata oggetto di una guerra accesa che ne ha impedito uno sviluppo capace di dare soluzioni univoche ai problemi della gente e si è, invece, limitata ad applicare modelli tradizionali, che si sono dimostrati incapaci di dare soluzione in un mercato globalizzato e dominato dalla finanziarizzazione dell’economia. Speriamo che la politica colga l’opportunità e si faccia carico di creare una scuola di nuovi economisti capaci.

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