Babele grillina: Di Battista apre al governo di scopo, Di Maio chiude
Mentre Virginia Raggi, con ospite al seguito, appare e scompare dal balconcino del Campidoglio con vista sui Fori Imperiali, il suo M5S somiglia sempre più ad una confusissima Torre di Babele. Dopo le polemiche a mezza bocca sull’allargamento del direttorio in funzione di recupero della sempre più affollata dissidenza interna e quelle seguite alla decisione di sciogliere il minidirettorio romano, ecco deflagrare la prima grana politica grillina con i due dioscuri pentastellati, Alssandro Di Battista e Luigi Di Maio, sostenere tesi diametralmente opposte, e non su stipendi, tetti, scontrini e cose del genere ma nientepopodimeno che sulla partecipazione del movimento ad un eventuale governo di scopo in caso di vittoria del “no” al referendum confermativo.
Di Battista e Di Maio divisi sulla prospettiva politica
E se a Di Battista, ospite della Gruber a Otto e mezzo, era scappato di dire che «se vince il “no” per me va benissimo andare al voto nel 2018, magari si può trovare un altro premier per un governo di scopo e modificare la legge elettorale», a Di Maio è toccato di metterci una pezza il giorno dopo e rassicurare che «siamo tutti d’accordo» nel sostenere che il «M5S andrà al governo solo con il voto degli italiani». Una smentita bell’e buona resa con un’apprezzabile ipocrisia che la dice fin troppo lunga sulla presunta diversità grillina e che ancor più e ancor meglio di altre dispute in corso nel nido di Beppe Grillo rende l’idea della difficoltà dei Cinquestelle a fare quotidianamente i conti con la realtà.
Grillini impreparati alla sfida del governo
Piaccia o non piaccia ai vari Di Battista, Di Maio e compagnia, oggi nel Palazzo ci sono anche loro. E stare nel Palazzo significa fare politica, cioè scegliere. Ed è nella qualità della decisione che va praticata e non solo predicata la diversità politica. Finora se n’è vista poca: stalli, rinvii, dimissioni, revoche di nomine decise il giorno prima, avvisi di garanzia negati con bizantinismi degni della peggiore tradizione dorotea. Insomma, più che il nuovo che avanza, il grillismo al governo sembra l’avanzo del vecchio.