Ad Amatrice tra buio e silenzio: cosa si scruta dopo quei maledetti secondi

1 Set 2016 9:45 - di Gianluca Corrente

Non c’è più Amatrice. Solo tracce. Solo dolore. L’inizio di corso Umberto è l’unico punto del centro storico dove arriva una luce lieve, quel che basta per illuminare i manifesti ancora appesi ai muri: «50esima sagra degli spaghetti all’Amatriciana, 27 e 28 agosto», dice quello di destra; «Il borgo in sagra, i sapori in piazza ad Amatrice», 23 agosto, la sera prima del botto, è scritto su quello di sinistra. Poi c’è solo buio assoluto e macerie.

Tanti ricordi, tante tracce e il silenzio: adesso Amatrice è così

Il reportage dell’Ansa è dettagliato. Ore 3.36 del 31 agosto: camminare per il centro del paese simbolo del terremoto a una settimana dalla scossa, alla ricerca di qualcosa che ricordi anche solo lontanamente cosa fosse Amatrice un attimo prima di quei dieci maledetti secondi, è un’impresa impossibile. Al civico 27 di corso Umberto un lampione è l’unica cosa rimasta in piedi e alla luce della torcia sembra un fantasma nella notte. Dieci metri più in là, al civico 47, l’insegna del “Bar centrale park cafè pasticceria” non è esplosa, come invece è accaduto per le finestre al piano di sopra. Le locandine dei gelati e una bandiera italiana danno l’unico tocco di colore in un mare di grigio. Al 49 c’era il “forno e pasticceria Marini dal 1955”: l’insegna è ancora lì; sopra c’erano due piani che non esistono più. La sera del 23 agosto ad Amatrice era festa, la gente aveva fatto tardi per le strade del paese chiacchierando e ridendo. Ora il silenzio è assoluto, rotto solo dal calpestio dei piedi sulle macerie. Il punto vendita del caseificio di Amatrice è al civico 16: il palazzo accanto è caduto per metà e così dal corso si vedono le finestre che affacciavano dall’altra parte. Su una di queste, Winnie the Pooh sorride allegro alle macerie. Subito dopo, di fronte al bar centrale, sembra di esser tornati all’11 settembre: il tetto di un palazzo di Amatrice, collassando, ha sbriciolato l’intero edificio tranne una parete, che svetta nel cielo dopo aver tagliato il tetto come un coltello nel burro. Cinquanta metri più avanti l’altezza delle macerie raggiunge i 5 metri: è l’effetto prodotto dalla ruspa dei vigili del fuoco, che ha liberato alcuni punti per poter lavorare meglio. Quella macchina infernale sembra un mostro sulla luna, nel buio completo. Spostando la torcia, in trenta secondi si contano un paio di mutande da donna, due coperte, un lenzuolo stracciato, un pezzo di una foto, decine di tondini di ferro che spuntano e sembrano spade pronte a trafiggere chiunque, i resti di un cavalluccio di plastica e di una gomma di una bicicletta da bambina. Al civico 54 svetta l’unico palazzo rimasto in piedi: 4 piani, il tetto in cemento armato ha retto e non è collassato sui piani sottostanti. L’ingresso della filiale di Intesa San Paolo è bloccato da un metro di macerie ed è proprio in faccia alla torre civica: l’orologio fermo alle 3.37, un minuto dopo la scossa di Amatrice, mette i brividi anche se quell’immagine l’hai vista mille volte in tv. Dall’altra parte della strada, un altro tetto completamente integro ha schiacciato ogni cosa risparmiando solo una valigia. E’ mezza aperta e in tutta questa distruzione vedere i vestiti tutti ordinatamente piegati è un cazzotto allo stomaco. All’inizio di via dei Bastioni, sembra quasi sia tutto a posto. Le serrande del negozio “piante e fiori Gardenia” e della “lavanderia Bolleblu” sono chiuse come lo sarebbero ogni notte. Ma bastano cinque metri a riportarti alla realtà del terremoto: al civico 6 c’è un cumulo di macerie, all’8 la casa è perfettamente in piedi con i gerani bianchi e rossi appesi alla finestra. Il silenzio e il buio tornano i padroni assoluti di quel che resta di Amatrice.

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