Corruzione, Davigo (Anm) al Parlamento: «Incentivi per chi parla»

9 Lug 2016 15:20 - di Francesca De Ambra

L’Italia è una repubblica fondata sulla corruzione. Forse non al punto da costringere il Parlamento ad aggiornare il primo articolo della nostra Costituzione, ma di certo a rivedere la legislazione in materia. Di tanto, almeno, è convinto Piercamillo Davigo, già pm di “Mani Pulite” e ora presidente dell’Anm. Da quando siede lui sulla poltrona più alta del potente sindacato dei magistrati, il barometro del rapporto tra politica e toghe è tornato a segnare burrasca. Davigo non ha infatti mai fatto mistero di considerare la corruzione come una sorta di mafia dei colletti bianchi, cioè un autentico cancro che devasta pubblica amministrazione ed economia e non ha mai lesinato – anzi! – critiche alla politica, considerata troppo arrendevole se non addirittura connivente con la pratica di tangenti e bustarelle.

Davigo è intervenuto al convegno dei Catto-dem

Appena insediatosi al vertice dell’Anm disse al Corriere della Sera che l’unica differenza con la Tangentopoli del ’92 è che ogi «chi ruba ha semplicemente smesso di vergognarsi». Ne venne giù il finimondo. Ma Davigo non ha mai fatto marcia indietro. Anzi l’ha apertamente rivendicato questa mattinata intervenendo ad Orvieto al convegno dei Cattolici democratici: «Ribadisco che molti lo fanno (cioè rubano, ndr), che non vuol dire tutti: per distinguere le pecore bianche da quelle nere, bisogna fare i processi». Non sembra, ma è già un passo in avanti perché suona riconoscimento dell’esistenza di politici onesti. Esistono, infatti, e Davigo offre loro un consiglio: «Non sedete vicino ai corrotti». Se cominceranno ad agire così – è il suo ragionamento – «forse anche chi commette reati tornerebbe a vergognarsene». Ovviamente non basta, così come «serve a poco» inasprire le pene contro la corruzione: «Bisogna – avverte – prima far emergere quella sommersa. A questo scopo servono incentivi per chi parla, operazioni sotto copertura e ruolo proattivo delle forze di polizia».

«La politica non deleghi alle toghe la selezione della classe dirigente»

Per Davigo, il ceto politico «compie un errore gravissimo» se si limita ad attendere il corso della giustizia ogni qualvolta un parlamentare o un amministratore finisce indagato per corruzione perché – spiega il presidente dell’Anm – tale atteggiamento diventa «una sorta di delega della politica alla magistratura a compiere una selezione della classe dirigente». E invece dovrebbe essere la politica in grado di «dimostrare una propria, autonoma capacità di valutazione rispetto ai procedimenti giudiziari». Basterebbe questo – assicura – «a far allentare la tensione, spesso al calor bianco, con la magistratura».

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