Basini: ripartiamo da ciò che ci unisce, con tutti dentro. Nessuno escluso
Pubblichiamo la lettera aperta che il fisico Giuseppe Basini, ex senatore di An, ci ha inviato sul percorso di riunificazione della destra italiana
Il semplice è il sigillo del vero. Così ammonivano i Latini e l’antica massima vale anche oggi, sopratutto per la Destra . O almeno dovrebbe valere. Perché la ricetta per la Destra è semplicissima, oltre che unica e sola : L’UNIONE, tutti dentro, tutti accettati, nessuno escluso, senza se e senza ma. Ci siamo divisi tra liberali e sociali, tra modernisti e identitari, tra monarchici e repubblicani, tra nazionalisti e federalisti, tra garantisti e forcaioli, tra Occidente e terze vie, tra Europa nazione e secessionismo, tra turbocapitalismo e socialismo paramarxista, tra élite e populisti, tra ghibellini e clericali, tra antiquati e nuovisti. Senza vedere il filo profondo che ci legava e che ci rendeva subito, visivamente, quasi istintivamente, diversi dalla sinistra. Ma sopratutto ci siamo divisi tra Capuleti e Montecchi. La fedeltà ai grandi leader è diventata personale, prima che politica e poi è ulterirmente degenerata in subordinazione anche a capi e capetti, trasformando la competizione tra idee in scontro spesso personale, anzi tanto più duro quanto più le idee (e dunque lo spazio politico) erano comuni. E questo ha riguardato tutti i partiti del centro-destra, vecchi e nuovi . Il leaderismo e la scarsa (o nulla) propensione per la guida collegiale e la democrazia interna, malattia già del primo centrodestra e aggravatasi negli anni successivi, ha prodotto come risultato che le scissioni sono apparse a troppi come unico modo per riconquistare agibilità politica e lo si è visto sopratutto nel momento di massima unità possible, col Pdl. Già la nascita, forzata, avvenuta rifiutando il lavoro lungamente svolto dal comitato per l’unificazione, in favore di un atto estemporaneo e unilaterale, preferito proprio perché unilaterale. E il progetto non è risultato essere quello di un partito unitario e pluralista, ma solo quello di saltare le mediazioni, di evitare il dibattito, di ricondurre ad una disciplinata obbedienza. Non poteva funzionare e non funzionò. Perché mancava lo strumento principe per regolare, in maniera accettata da tutti, la fisiologica competizione : la democrazia interna.
Non era affatto un problema di leadership, come superficialmente si disse, allora un leader riconosciuto c’era (e pure bravo) ma di metodo, perché chi era abituto ad essere ascoltato, a contribuire alle decisioni, ad un minimo di democrazia interna, non poteva accettare di essere funzionarizzato e con contratto a termine, non con gli elettori, ma col capo. E oggi, se fosse possibile, è quasi peggio. Abbiamo tanti piccoli partiti, abbastanza litigiosi tra loro, ma tutti accomunati dal leaderismo, tutti assai più preoccupati di escludere anziché di includere, che invece fu la vera grande forza e la novità di An. Occorre l’unità della destra, una Destra unitaria e plurale, con organi dirigenti elettivi stabili e non fiduciari, selezionati, dopo il primo, necessario, “rassemblement” con tutti, con le primarie od altro metodo democratico interno, perché la cooptazione può certo rendersi molto utile, ma deve essere un’eccezione, non la regola. L’unità della Destra dunque, in attesa di un’unità del centro destra. Anche perché la situazione politica, in prospettiva, è di nuovo favorevole.
La sinistra, che sembrava immune, conservando una certa tradizione di collegialità, è caduta in pieno negli stessi nostri difetti (arrivano sempre vent’anni dopo) scoprendo un autoritarismo un po’ smargiasso, che lascia poco spazio al dissenso, quasi costringendo, di nuovo, all’obbedienza o alla scissione, oltre ad avere una tale crisi di identità -anche questa a scoppio ritardato- da apparire un po’ goffa e ridicola nei suoi tentativi di mostrarsi moderna e liberal e addirittura cristiana e nazionale. Renzi, anche se più spregiudicato, appare meno convincente di Letta nel provare a trasformare il suo partito. Al posto di un “usato sicuro” finalmente e credibilmente socialdemocratico, vuole vendere un liberalismo che non è nel DNA del PD, che é e resta collettivista e regolamentatorio (magari con un po’ di struscio ai grandi capitalisti) così da sembrare una vecchia attrice con la pelle grottescamente tirata da cattivi chirurghi. Insomma, elettoralmente parlando, il PD non tira più come prima.
I Cinquestelle, invece, sembrano avere il vento in poppa, ma è un vento gonfiato da molti, troppi, elettori di destra che sembrano aver scelto il “tanto peggio tanto meglio”, spinti da un furore autolesionistico incontenibile, che li spinge ad ignorare che dalla “decrescita felice”, al giustizialismo, dall’autoritarimo verticistico al no alla TAV (e alle olimpiadi, alle metropolitane, all’acciaio) si stanno accodando ad un partito veterorivoluzionario di sinistra, con un preoccupante aspetto settario alla Scientology. Insomma questi elettori danno la testa contro il muro per disperazione. Ma a dare la testa contro il muro ci si fa male e prima o poi si smette, per cui si può sperare che i dilettanti allo sbaraglio, che forniscono i loro volti spaesati agli “esperti di comunicazione” dietro le quinte, tornino nel dimenticatoio o decidano di crescere, finalmente, in autonomia.
La situazione, alla fin fine, sarebbe tutt’altro che disperata, spacie se si considera che, in tutto il mondo e segnatamente in Europa, ha preso a spirare un forte controvento di destra, che si rafforza continuamente e che alla lunga produrrà effetti anche da noi. Ho detto “sarebbe”, perché non basta però che che le condizioni ci siano, occorre anche saperle mettere a frutto, mettendosi in condizione di agire e di nuovo l’unità si impone, anche e sopratutto in Europa. Perché è il caso di smetterla subito con la supina accettazione della vulgata di sinistra (con la complicità di centristi partecipi o collusi) sui populismi europei, basta straparlare di deriva lepenista o di pericolo austriaco, Marine Le Pen e i liberali austriaci sono a noi vicini e sono una convincente, perché realmente autonoma, espressione della democrazia dei loro paesi. E ci sarà tanto da lavorare, con loro ma anche su di loro, perché non è affatto vero che l’Europa sia stato l’errore di due generazioni, l’Europa è anche un sogno e una storica opportunità (gridavano Europa Nazione i ragazzi di Berlino e di Budapest) ed una necessità, se solo si pensa che, molto probabilmente, il sequestro dei nostri due marinai non sarebbe mai avvenuto, se fossero stati militari di una grande nazione armata. Sarà possible ? Credo di sì, se sapremo voltare pagina e non ripeteremo gli stessi errori, se i “vecchi” non prenderanno un atteggiamento di sufficienza ed i “nuovi” non vorranno creare nuove rendite di posizione partitocratiche sul falso mito del rinnovamento ( “cosa dice che fa?” “Beh sono premio Nobel”, “Ah, ci dispiace ma vogliamo solo gente nuova ). L’unità, l’unità senza esclusioni. Simplex sigillum veri .