Yara, i legali di Bossetti demoliscono l’accusa: lui non c’entra nulla, nessuna prova
«Nessuno ha visto la minore fuori dal centro sportivo; nessuno ha visto l’imputato e nessuno ha visto il mezzo dell’imputato». Parte da questa considerazione la difesa di Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, per cercare possibili ipotesi alternative alla ricostruzione dell’accusa. L’avvocato Paolo Camporini ha fatto riferimento a testi “attenti” che riferirono di quel 26 novembre del 2010 quando Yara scomparve per essere trovata uccisa tre mesi dopo in un campo. Camporini ha anche ricordato che una fisioterapista che lavorava nel centro sportivo quel pomeriggio fu molestata da un uomo. «In un processo normale questo ne farebbe l’indiziato numero uno – ha argomentato il legale -: c’è stato detto che sono state fatte indagini, ma non possiamo accontentarci di questo».
La fisioterapista del centro molestata da un uomo
Il legale ha ribadito che quelle della vittima e dell’imputato erano «esistenze parallele»: Massimo Bossetti, fin dall’inizio, ha scelto la strada della sincerità: avrebbe potuto dire che si conoscevano e, quindi, che il dna poteva derivare da un contatto e invece è un testone, bergamasco, un crucco: non l’ha mai vista né conosciuta»
Dagli esiti degli accertamenti sulle sferette di metallo trovate sul corpo e dal fatto che nessuna traccia di Yara sia stata trovata sui mezzi a disposizione di Massimo Bossetti emergerebbe «tutt’altra storia» rispetto a quella ipotizzata dalla Procura. Nell’interpretazione degli esiti delle analisi della difesa, emergerebbe, infatti, che «quella ragazza è stata aggredita altrove, è stata portata in un altro posto in cui il corpo è stato avvolto»: «Si tratta di tutt’altra storia – ha scandito l’avvocato Paolo Camporini -: vi è un altro luogo, vi è l’ipotesi della presenza di più persone. Questo comporterebbe tutt’altra indagine». L’avvocato ha fatto rilevare come sull’Iveco Daily di Bossetti «non è stata trovata nessuna traccia di sangue»: «E’ una dato significativo al massimo – ha sottolineato l’avvocato -. Il sangue non si cancella, anche dopo anni».
La corrispondenza di Bossetti con la detenuta Gina
Della corrispondenza tra Massimo Bossetti e la detenuta Gina è stato «sottolineato l’aspetto pruriginoso» per «far passare l’idea di un predatore sessuale». Ne è convinta la difesa della muratore di Mapello. Per l’avvocato Claudio Salvagni, in molte di queste lettere traspare un «tono sussiegoso» e compaiono «pensieri di disperazione e sconforto» e «con temi ben lontani dalla violenza» che caratterizza, invece, «un predatore sessuale».
Il legale: Crimine sadico? Non può essere stato Bossetti
L’avvocato Paolo Camporini ha citato dei testi dell’Fbi recepiti dalla Unità Anti Crimini violenti della polizia, per sostenere che, poiché quello di Yara è stato un omicidio «commesso da un sadico» l’autore non può essere Massimo Bossetti. Camporini ha spiegato come in base a quei testi, chi commette delitti di questo genere abbia un «quoziente intellettivo basso» mentre Bossetti è definito come furbo e scaltro. Chi commetter reati di questo genere è «lontano dalla vita reale, è un tipo strano, con abitudini notturne»: «Bossetti non usciva praticamente di casa – ha argomentato Camporini – e forse ha bevuto una birra in un supermercato: era solo casa e lavoro; quasi fosse ai domiciliari».
Nessuna ricerca pedopornografica sul pc di Bossetti
Parlando delle ricerche trovate nei computer del muratore di Mapello, Camporini ha chiesto che«sparisca la parola pedopornografia da questo processo». Il legale ha, infatti, sottolineato che nessuna delle ricerche trovate ha tema pedopornografico ma che si tratta invece di «ricerche che si possono trovare nei computer di tutti gli adulti». Le ricerche, a suo dire, sono contraddistinte da «assoluta rarità» e «successive» alla sparizione e al ritrovamento di Yara Gambirasio. Sarebbero tre o quattro in tutto il periodo preso in considerazione. Il legale, che ha anche fatto riferimento a delle ricerche trovate nel computer della famiglia della vittima, ha detto che «non ha alcun senso» cercare di ricondurre le ricerche nei due computer trovati in casa di Massimo Bossetti al delitto della tredicenne.